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Annette

"Die Judenbuche", racconto, inchiesta, romanzo ecc. della Annette von Droste Hülshoff, appena terminato di leggere in tedesco. Sì, perché come potevo leggere una traduzione di questo libro, dopo aver visitato la casa dell'autrice, restata tale e quale da allora, nel castello di Meersburg? Perché dentro quell'ambiente d'ottocento "divampante", a differenza di ciò che avevo scientemente cercato di evocare nelle rispettive case di Wagner ( Lucerna ) e Nietsche ( Sils-Maria, con un briciolo di successo in più ), si era prodotto in me un diluvio di sensibilità, spontaneo, imprevedibile, non voluto, che, dilagando nel mio interno, veniva svelandomi arcani trascendenti che sentivo discendere come da lontani echi ancestrali. C'era dunque laggiù qualche sconosciuto frammento di io, antico appunto, anamnestico, galleggiante oscuramente fra gli orpelli fantasmici occorsi un dì alle incombenze quotidiane soltanto di uno sventurato spirito solitario, alloggiato nelle fibre deboli e nell'immaginazione possente d'una poetessa di tanti anni fa.
 
La storia, vera, raccontata colà, quella di un tal Friedrich Mergel, tanghero forse assassino, oppure anima fragile vittima della miseria di classe e del pregiudizio sociale, nel suo indecisionismo, o relativismo, morale tratteggia i contorni di una sorta di "epifania tragica", in cui i protagonisti son gettati dentro, spietatamente, insieme al precipitare di enigmatici eventi naturali, come se tutt'intorno al concretizzarsi di un evento luttuoso si strutturasse tutta una coreografia tragica insinuante una divina ma nemica ineluttabilità, come di un Destino che cercasse prede da sacrificare al proprio farsi, di un Dio che immola uomini a crudele riprova della sua propria esistenza. E quello del Dio nemico era il vero Leit-motiv che avevo scovato nel Woyzeck di Büchner, e nell'immenso successo di cui aveva goduto nonostante si trattasse di un'opera neanche ultimata. Gli estremi sono molto prossimi l'uno all'altro. L'origine umile, la grande anima, la spiritualità battente, i "nascondigli" della natura ove si celano i germi della rivoluzione sociale incombente, associati tuttavia all'altro incombere di un destino comunque nemico, pessimista, il Dio-contro appunto, e quindi lo scioglimento tragico nell'omicidio, raddoppiato finalisticamente nel suicidio del protagonista.
In tutto ciò, che è comune a tutte e due le opere, si rilevano traccie di ogni tipo di connessione filosofica, sociale, culturale, poetica, mistica addirittura, benché al negativo. La loro grandezza sta in questa strana universalità capovolta, ove ciò che è trasceso è oscuro, gotico, tenebroso, e la divinità è "cattiva" o amara. Quindi, più che le istanze sociali, che pure occhieggiano qua e là in testi che, ancorati come sono ad avvenimenti reali, risultano più che "realistici", qui si palesa una ontologia pre-schopenhaueriana - ma senza l'inclinazione al conservatorismo reazionario del filosofo - permeata di pessimismo rispetto al destino della rivoluzione avvenire, e di pessimismo rispetto anche alla stessa, possibile, ontologia.
Nella casa nel castello di Meersburg sentivo avvampare la "febbre" creazionale che, una volta, là dentro, aveva consumato, fino a farle sputar fuori la poesia, la triste Annette sola e grande, davanti al grande lago tedesco. Sentivo come il crepitare di una passione solinga, negletta, come dev'essere la morte, ma pure intitolata alla sopravvivenza. Sentivo il mondo là fuori, in precario equilibrio fra l'acqua, i monti e la pianura, fremere gigantesco sotto la spinta di un mostruoso sforzo riconnettivo, che gl'imponeva la volontà descrittiva di un grandioso disegno imaginifico, atto a riscattarlo romanticamente sotto il segno dell'umanesimo e della sua tragedia.
 

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