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Don Saverio Palluotto e gli Angioini

 
Questa volta il professore mi ha “diciuto” :- Don Save’, per favore, scriveteci un articolo sugli Angioini, voi che siete un “culturista” storico.- Ed eccomi qua, perando che “sallo” scrivere bene…
 
 
 
 
CORRADINO, CORRADINO!    
           
            Eh, povero Corradino! Il suo “fatalo” (fatalo? Eh, si, maschilo singolaro) destino si “compiette” il 26 ottobre del 1268, quando Re Carlo gli fece tagliare la testa a piazza del Carmine. Ma com’era questo giovinotto? Che aspetto aveva? Era di bella presenza. Uno da fotoromanzi, insomma. Teneva i capelli lunghi e biondi e le spalle belle tonde. Sarebbe sicuramente piaciuto alle ragazze d’oggi. Più che l un sovrano, pareva un “ragazzo di vita” “fasoliniano” (Scusate, volevo dire pasoliniano). Non era molto ricercato nel vestire, ma teneva molto alla pulizia, e a quei tempi, quando i signori si pulivano, dopo pranzo, il muso con la manica della cammisa, credete a me, non era cosa da poco. Parlava zitto, zitto e garbatamente e teneva uno sguardo molto dolce. Mò, ditemi voi, se un bravo giovine cosa doveva perdere la testa in quel modo? Eppure la perse, la perse perché era uno Svevo nemico degli Angioini. Corradino è sepolto nella chiesa del Carmine a Napoli, in una cripta piccolissima, seminascosta dietro l’altare maggiore unitamente a Federico d’Austria. Vi faccio a modo mio un riassunto di quello che si legge sulla cripta: - “Qua giaciono Corradino e Federico, due re che tenevano lo stesso coraggio, la stessa età e la stessa “ciorta ‘nfama” per l’esito della guerra. Ambedue condannati per unico ordine di Carlo D’Angiò, invece del trono videro il patibolo, e invece dello scettro videro la scure. E, infine, invece dell’aula regale videro il sepolcro, anzi quello non lo videro nemmeno.–“  Insomma, c’è scritto più o meno così. Poi, se non ci credete, andatevelo a leggere voi stessi dal latino.
 
CARLO PRIMO  D’ANGIO’
 
            Siccome Carlo D’Angiò voleva tenere sottocchio l’operato dei papi che allora ne facevano di cotte e di crude, pensò di spostare la capitale del regno da Palermo a Napoli. E a proposito di occhi, la sua crescente potenza non era vista di buon occhio da papa Gregorio X: - ‘Sto re chi se crede de’ essere? - diceva il papa: - pe’ volè addivennà anche re de Gerusalemme? - Come infatti, Carlo si era proposto per essere incoronato anche monarca di Gerusalemme in quel di Palestina. E vota e gira, vota e gira, alla morte di papa Gregorio, tra papi che venivano eletti e dopo poco tempo morivano (Ma fa che Carlo portasse scalogna), vi fu Giovanni XXI che finalmente lo incoronò.
 
IL BISOGNO DI DENARO DI CARLO
E LA TASSA SUL PANE
 
            Fatto sta che il regno costava, e costavano cavalli e cavalieri, carri e carretti, armi e bella vita. Quindi Carlo teneva bisogno di denaro per pagare i debiti che aveva fatto per venire in Italia e per le sue “ampizioni” di conquista (‘Sta corona da Giovanni XXI, secondo voi, come l’aveva avuta?). Questo provocò una bella crisi nella  situazione fiscale dei napoletani poiché aumentarono le imposte. E siccome dalle imposte erano esenti, manco a dirlo, i nobili, i provenzali e gli ecclesiastici, il peso di questo inclemente regime fiscale andò a cadere sulla capoccia del popolo che si vide costretto a pagare perfino una tassa sul pane e sull’olio. Insomma ci fu, come si disse all’epoca: “Una mala signoria”, e non era neanche tutta colpa di re Carlo. Lui aveva avuto l’accortezza di servirsi di funzionari del regno, cioè locali, ma le alte cariche erano occupate dai francesi che, in assenza del re, facevano il bello e il cattivo tempo. Le esazioni fiscali avvenivano a mezzo di cammellieri…ops, scusate, gabbellieri che passavano nelle città e nelle campagne. Questi gabellieri consegnavano l’importo ad un funzionario che ne gestiva l’appalto e che a sua volta consegnava l’importo a degli esecutori che poi provvedevano a passarlo ai funzionari del re. Insomma ‘sti soldi passavano di mano in mano, e chi ci dice se poi arrivavano tutti nelle casse del re? Non ci arrivavano, si perdevano per strada e nelle casse confluiva manco la metà del raccolto. Ecco che ogni tanto il re s’incazzava e allora giù pene di morte e camere di tortura. In ogni caso i diritti doganali erano molto forti e non potendo consentire facilmente l’importazione e l’esportazione, ne conseguiva che il commercio ne soffriva molto
 
TUMULTI A NAPOLI
E MORTE DI CARLO PRIMO
 
“Se mala signoria, che sempre accuora
li popoli suggetti non avesse
mosso Palermo a gridar:- Mora! Mora!”
 
            “Mora! Mora!” era il grido dei siciliani durante il moti dei vespri. Moti che culminarono con la perdita del regno da parte di Carlo D’Angiò e con l’affermazione nell’isola da parte di Pietro III di Aragona. A Napoli molti parteciparono alla ribellione contro i francesi, ma i tumulti finirono in un bagno di sangue e quasi tutti i simpatizzanti aragonesi furono condannati a morte.
In una lettera di Paolo Finardi, modesto letterato dell’epoca, si legge:
 
Cara, Carissima madre, per lo futilissimo motivo de truovarme ne lo scompiglio ingenerato ne la via nova de lo castello del re, come volle il caso, ora me truovo, di qui a poco, a passare a miglior vita, unitamente a certi compagni che la sventura se la cercarono commettendo ogni sorta di delitto contra li francesi. Ora non so più se sono più io giusto a morire ingiustamente o loro ingiusti a morire giustamente, tanto sono le pene che i colpevoli hanno dovuto patire dentro e fora la prigione.”
 
            Il 7 gennaio Carlo morì lasciando il regno in una situazione gravissima. Sapete come fu sepolto il re? Fu fatto a pezzi, così come lui stesso aveva disposto nel suo testamento: Il corpo fu tumulato a Napoli, le viscere vennero interrate nella cattedrale di Foggia, e il cuore fu inviato a Parigi, nella chiesa de’ Jacobin e messo all’interno di una statua che gli era stata innalzata.
 
ROBERTO D’ANGIO’
 
            A Carlo I successe Carlo II ed a questi successe Roberto D’Angiò. E qua la musica cambiò, anche se non cambiarono i suonatori. Figuratevi che re Roberto era chiamato “Il più saggio fra i cristiani”, “Il pacificatore d’Italia”. Questo si che era un re! E non solo: era un letterato, una mente suprema che fece venire a Napoli la crema degli artisti e degli scienziati. Oddio qualche peccatuccio pare che lo tenesse pure lui: si racconta, infatti, che per accaparrarsi il trono di Napoli avesse avvelenato il fratello Carlo Martello, ma si racconta pure che lo stesso Martello, si voleva  sbarazzare di lui per lo stesso motivo. Diciamo che Roberto fu più veloce.
Subito dopo l’incoronazione, Roberto ebbe le prime castagne da togliere dal braciere: infatti dovette occuparsi della discesa in Italia di Arrigo VII che aveva messo nella paura tutti gli stati della penisola. Ma, ‘na battaglia di qua, una guerra di là, la situazione fu risolta e alla morte di questo Arrigo, Roberto creò un equilibrio tale da risultare gradito a tutti i governanti italiani, papi compresi.
 
LA NUOVA NAPOLI
 
            Napoli, divenuta capitale di un regno di importanza europea, fu maggiormente curata ed abbellita. Ebbe inizio, tra l’altro, anche l’urbanizzazione della zona collinare. In poche parole cominciò a nascere il Vomero. Vi sorsero ville e palazzi, e nel 1325 vi furono iniziati i lavori per il chiostro del convento di S.Martino. Oltre alle opere di pubblico interesse, re Roberto curò anche l’edilizia e fece abbellire e costruire chiese: la chiesa e l’Ospedale dell’Annunziata, la chiesa e il convento di Santa Chiara, fu restaurata la Cattedrale.
 
LA MORTE DI ROBERTO D’ANGIO’
 
            In seguito re Roberto riprese la guerra per la riconquista della Sicilia, ma le forze di cui si servì erano scarsine: pochi uomini, cavalieri senza cavalli e cocchieri senza carrozze. Una bella mattina, dopo che il re era tornato da una battaglia persa in Calabria, corse la voce per tutta Napoli:- E’ muorto ‘o rre! E’ muorto ‘o rre!- Nella notte Roberto si era spento.
Fu sepolto nella chiesa di Santa Chiara dove i fratelli Bertini di Firenze gli eressero un grande sepolcro a vari piani.  La figura del re conserva nel volto, scolpito da una maschera di cera presa al momento della morte, il realistico ricordo di Roberto.
 
“‘O mare, ‘a rena, ‘a bonasera a chi rimane e bonanotte a ‘e sunature”
 
 
 
 
 

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