Ergtos (leggende napoletane) | Lingua italiana | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Ergtos (leggende napoletane)

‘’ Ancora oggi quando si sente nominare il nome di Raimondo di Sangro, Principe di San Severo c’è chi si fa il segno della croce. Di lui la gente racconta che fosse una sorta di stregone , un alchimista diabolico che faceva rapire poveri disperati  i cui corpi servivano per i suoi turpi esperimenti. Si narra che fosse un castrafanciulli senza Dio che nessun potere, neanche quello regio, riusciva a controllare. Alcuni arrivarono a dire che aveva ucciso sette cardinali e con le loro oassa e pelle avrebbe fatto delle orribili seggiole. Per queste dicerie il popolino lo temeva e non è che le lassi socialmente più elevate lo stimassero più di tanto dal momento che egli fu il primo gran maestro della massoneria napoletana. ‘’
 
 
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Eppure, se si scava un po’ sotto la superficie del pregiudizio che si creò intorno alla figura di Raimondo, emerge  una ben diversa realtà ,cioè che egli  non fu soltanto uno dei personaggi più misteriosi e discutibili del settecento europeo, ma anche una delle menti più brillanti dell’epoca. Per molti versi un uomo troppo moderno per il suo tempo. Ma ecco cosa vi era scritto sul testo che avevo in mano e  sul quale stavo consumando occhi e mente.
 
 
 
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“ La famiglia discendeva da Carlo Magno, ramo di Oderisio conte di Sangro (1093) e contava una sfilza lunghissima di titoli: Principe di San Severo, di Castelfranco, di Fondi, duca di Torremaggiore, di Martina, di Casale, ed altri titoli..
Tra l’altro i Di Sangro erano anche Grandi di Spagna. In uno dei sopracitati feudi, a Torremaggiore nacque Raimondo il 30 gennaio del 1710.”
 
 
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Così venne descritto da alcuni storici dell’epoca  Raimondo: “…Di corta statura, di gran capo, di bello aspetto, filosofo di spirito, molto dedito alla meccanica, studioso e ritirato, amante delle conversazioni con uomini di lettere.
 
 
 
 
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“Il Principe  aveva fantasia da vendere e non si limitava a mantenerla allo stato teorico, ma la metteva in pratica concretizzandola in tutte quelle invenzioni che poi lo resero famoso. Una per tutte il “lume eterno” che realizzò triturando le ossa  di un teschio ottenendo una mistura di fosfato di calcio e di fosforo ad alta concentrazione che aveva la capacità di bruciare per ore consumando una quantità trascurabile di materia. Sua è anche la fabbricazione di tessuti impermeabili che regalò al Re Carlo IIIdi Borbone  per le battute di caccia, l’invenzione del fucile a retrocarica, la costruzione di un cannone con lega di ferro. La  sua dimora era in piazza s. Domenico quasi di fronte all’omonima chiesa.
A pochi passi da casa sua c’era un abitacolo particolare che lui, preso dall’ossessione di dover stupire i posteri , trasformò in una splendida cappella con l’aiuto di grandi maestri scultori come Giuseppe Sammartino  (Il Cristo velato), Francesco Quenolo (Il disinganno), Antonio Corradini (La pudicizia).
Nel sottosuolo della cappella c’era il suo laboratorio segreto sulla porta del quale c’è ancora oggi una lastra di marmo sulla quale vi si trovava scritto: “ Viri non genuerat aetatis oblitus tut Exponunt”[1] .
Nel 1767 il Principe prese al suo servizio un giovane aiutante palermitano. Tale Alessandro che all’epoca dei fatti  aveva solo 16 anni. Di aspetto torvo ed inquietante costui dimostrò grandissimo interesse e predisposizione alle scienze occulte e alla magia nera. Da Raimondo apprese subito l’alchimia, l’astrologia, la matematica, l’anatomia e la meccanica ed in poco tempo divenne un suo prezioso collaboratore.
Una notte Raimondo ed Alessandro erano appena usciti dal laboratorio. Quando,  nella flebile sinistra luce che appena rischiarava le statue della cappella,  il Principe disse:   
-Or pochi sarian coloro in grado di manipolare le scienze come facciamo noi, così come nessun altro sarà in grado di creare un simile capolavoro  come questo del Sammartino…-
Si inginocchiò ed accarezzò il capo di marmo del “Cristo Velato”.
 -Più nessuno? – chiese incuriosito il giovane.- Neanche egli stesso…Lo feci accecare. – disse Raimondo – poi aggiunse: -  L’immortalità e dell’arte e l’arte è irripetibile.  E’ mia intenzione, quale artista, essere immortale, creare la vitya eterna come ogni buon alchimista avrebbe voluto fare, ma c’è un paradosso: l’eternità si conquista con la morte.-
-Bisognerebbe servirsi di individui che sono in equilibrio tra l’essere ed il non essere…- disse Alessandro.
-Tra l’essere e l’essere stati…C’è, forse un modo, il mesmerismo.- rispose Raimondo.
-Il mesmerismo?-
-Si, in Egitto, oltre alle misture di particolari veleni, ho imparato tecniche per l’imbalsamazione dei corpi e per la possessione della mente mediante la quale l’individuo in oggetto esegue i comandi di chi lo possiede.-
-Quindi egli trasmette cosa vede e cosa sente?-
-Esatto! E la cosa sbalorditiva – disse Raimondo mentre chiudeva il laboratorio con tripla mandata di chiavi – è che il soggetto  codeste informazioni le passa dopo la morte.-
-Incredibile!- disse Alessandro, ed uscirono dalla cappella la cui porta fu rinchiusa con un’altra tripla mandata di chiavi.
 
Il giovane apprendista oltre all’istruzione che gli dava sì tale maestro, aveva a disposizione un’enorme biblioteca i cui testi spaziavano dall’esistenza dei morti viventi alla reincarnazione dell’anima c; dalla filosofia platonica a quella pitagorica; dall’Ebraismo alla Qabbalah[2]; dalla fisica alla matematica, alle discipline geometriche ed astrofisiche.
Per questo, dopo soli pochi mesi, Alessandro era diventato bravo quasi come Raimondo.”
 
 
 
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Nel giungere delle ore piccole della notte il motivo malinconico suonato da una chitarra lontana mi distrasse dalla lettura.
Un “arillo”[3], animaluccio cantatore, nascosto, forse, dentro una pianta del vicino giardino o in una  di origano poggiata sul davanzale di una finestra di fronte, friniva continuamente.
Una pallida luna si   aggrovigliava e sgrovigliava tra coltri di nuvole nere  e, affacciandosi ogni tanto, rischiarava il vicolo Bausan dove abitavo. Il lontano suono di un pianoforte aleggiava nell’aria per poi finire solitario e lento mentre la luna tornava tra le nubi lasciando nella penombra il vicolo.
Morivo dal sonno ed avevo sete e fame, ma non riuscivo a taccarmi da quella lettura, così senza neanche lasciare il libro, ma mantenendone il segno con l’indice tra le pagine, presi una bottiglia di birra dal frigo e tre o quattro taralli “sugna e pepe” dalla credenza e, bevendo e sgranocchiando stando sdraiato sul letto, ripresi a leggere.
Il silenzio ora era rotto solo dal ritmico battere di un orologio che intendeva suggerirmi il passare del tempo.
 
 
 
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“ Correva l’anno 1768 quando regina di Napoli e Sicilia fu la sedicenne consorte di  Ferdinando IV di Borbone vale a dire Maria Carolina d’Asburgo – Lorena.
Sostenitrice della massoneria progressista e illuminata, si circondò di donne e di uomini che avevano idee di cambiamento, e frequentò il Principe Raimondo.
Proprio quell’anno avvenne che in città scomparvero diversi giovani senza che nessuno sapesse mai che fine avevano fatto.
Fu ritrovato solo il cadavere di una donna sul quale si notarono tracce di polvere di marmo simile a quello che si trovava nella Cappella di Raimondo della quale si ignorava, allora, l’esistenza di un laboratorio segreto.
Ma non solo: nonostante che il cadavere della poverina fosse stato ritrovato dopo molti mesi dalla scomparsa, non aveva segni di decomposizione e nei suoi occhi spalancati si leggeva un indicibile terrore.
I sospetti degli analisti si indirizzarono proprio sulla figura del Principe deducendo che la donna per qualche motivo ed in qualche modo fosse entrata nella cappella o, addirittura, vi fosse morta.
I sospetti aumentarono quando, a distanza di tempo, fu rinvenuto un altro cadavere sul quale si accertarono le tesse caratteristiche riscontrate sul primo.
La polizia borbonica fece anche irruzione nella cappella senza riuscire a trovare nulla di particolare. Così, anche per intervento della Regina, grande simpatizzante del genio del Principe, il caso fu insabbiato. Ma a cosa era dovuta la sparizione di tanti giovani e giovinette?  
Una sera uno dei suoi servi, ubriaco fradicio in una locanda, raccontò di averlo sentito parlare da solo chiuso in una stanza della casa:
-“Dammi rifugio ed avrai potere…” dicette isso stesso a isso medesimo co’ ‘na voce che non era la sua. Poi risponnette sempre isso medesimo: “ Qual è lo tuo prezzo? “ E…mannaggia ‘a morte se non dico il vero, isso ancora si rispondette: “Mi nutrirai co’ chello che desidero e cerco…” –
-E cosa cercava lo diavolo? – chiese uno dei presenti mentre si scolava una pinta di vino che gli sgocciolava da entrambi i lati della bocca.-
-Isso stesso co’ l’altra voce dicette: “Cchiù magno sarà lo sacrificio cchiù sariano li poteri.
Nella prima notte di luna  farai colore dello sangue tuo su una tomba del cimiterio. Illo sarà lo segno che avrai accettato il patto.” – dicette in ultimo la voce non sua.
Così in una notte di luna piena il Principe si recò   nella necropoli delle  “Fontanelle”[4], un cimitero poco lontano dalla sua casa ed ordinò al cocchiere di aspettarlo fuori nella strada. Gli parve di  addentrarsi in un territorio arcano, delineato da archetipi simbolici che rivelavano vite vissute, tempi, eventi apocalittici e misteri.  In quel mortorio i resti scheletrici dei defunti sono ammucchiati allo scoperto in collinette di teste, di femori, di tibie, di ulne ed altro, e solo pochi sepolcri custodiscono altri cadaveri. Raimondo si avvicinò ad uno di questi, poi con uno stiletto si fece un taglio sulla mano sinistra tra l’indice e il pollice e vi lasciò colare sopra un rivolo di sangue. Un forte bruciore  gli invase il torace ed il doloe fu tanto intenso che lo fece svenire. Al suo risveglio si ritrovò nudo con sul petto i segni del potere: dolore (una freccia in un cuore), tenebra (un sole nero), veleno (un teschio), invisibilità (un mantello).
Ed ecco che, spargendosi la voce che il Di Sangro potesse rendersi invisibile, tutti si guardarono bene dal parlare male di lui o di qualsiasi altra cosa lo riguardasse. E la cosa che maggiormente lo interessava era quella di sbalordire i posteri. Per la tal cosa non si arrendeva di fronte a nulla nemmeno innanzi al muro invalicabile che si ergeva tra la vita e la morte per valicare il quale pensò di servirsi delle profonde conoscenze che aveva del  mesmerismo. “
 
 
 
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Avevo qualche nozione di mesmerismo appresa quando, per caso, lessi un racconto di E.A.Poe “La verità sul caso del signor Valdemar”, in cui si tratta di un soggetto mesmerizzato, cioè ipnotizzato in punto di morte, che descrive la vita nell’Aldilà.
Il mesmerismo fu la terapia per malattie e disfunzioni basata sulle teorie di Frank Anton Mesmer[5]. Egli sosteneva che nel corpo umano era presente una forza magnetica generata da un flusso risvegliato nel soggetto mediante ipnosi.
 
 
 
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“ Nel tempo che un lampo impiega ad illuminare la terra, un carro con due loschi individui a cassetta sfrecciò lungo lo stretto vicoletto di San Geronimo al centro di Napoli. Il forte sferragliare spaventava gli stessi cavalli al tiro, schiumanti e sbruffanti. Questi sbandavano e s’imbizzarrivano sotto le selvagge frustate del  cocchiere che sbraitava.
Aveva fretta di arrivare a destinazione  per timore di imbattersi nella gendarmeria borbonica che avrebbe potuto scoprire la “merce” che trasportava: quattro cadaveri. Si trattava di giovani rapiti e barbaramente uccisi.
Giunto nei pressi della chiesa di San Domenico Maggiore dove c’era la cappella di Raimondo di Sangro, il carro si fermò proprio davanti alla porta della “Pietatella”[6]. Uno dei due che eranno a cassetta scese e bussò. Dopo un paio di minuti si udì la voce di Alessandro che chiese chi fosse a bussare.
-Santi ‘ncielo e carte ‘nterra…- rispose l’uomo con voce sgraziata. Doveva evidentemente
trattarsi di una parola d’ordine in precedenza concordata dal momento che, lentamente e cigolando, il portone si aprì scoprendo l’inquietante figura del giovane siculo.  In assoluto silenzio i due scaricarono i cadaveri che avevano avvolto in sacchi di tela. L’apprendista li esaminò poi consegnò loro una borsa con 300 carlini[7], li congedò con un cenno del capo, diede uno sguardo fuori a destra ed a sinistra, poi rinchiuse il portone.
Sulla scala del laboratorio comparve il Principe:
-Presto, presto…- disse agitandosi – dobbiamo far presto prima che il sangue cominci a solidificare per mancanza di ossigeno -.
Portarono i cadaveri giù in laboratorio li denudarono frettolosamente e fecero loro delle infiltrazioni di fosfato miscelato con calcio e sodio.
Raimondo, in un primo momento, aveva pensato che l’inoculazione  nel sistema ematico avrebbe creato i presupposto per il mesmerismo praticamente risuscitando il morto, ma vari ed inutili furono i suoi primi tentativi.
Tra l’altro, il Principe, appassionato di scienze naturali, si era dato anche all’ apprendimento della botanica della quale aveva acquisito molte nozioni da esperti teutonici, olandesi, liguri ed antichi latini studiosi della “De florum arte delicatum “[8] . Così ricorse alla “Spirea”[9] e al “Salice bianco”[10] fiori dai quali estrasse una corteccia (la salicina) e l’acido apirico, elementi con i quali riuscì a mantenere  il liquido ematico molto fluido.
Luigina e Pasqualotto  erano due dei tanti servi di Raimondo. La donna aiutava in cucina, mentre l’uomo si curava del giardino. Luigina era una bella giovinetta di venticinque anni, rotondetta, in salute, dall’aspetto simpatico e dalla svelta parlantina ed era al servizio del Principe da solo pochi giorni. Pasqualotto, più in età, veniva saltuariamente ad innestare limoni, alimentare il terreno dei tulipani nani, rinvasare narcisi, sfrondare le siepi.  Stranamente una sera i due furono invitati  a cena da Raimondo e fu offerta loro tanta roba che si trastullarono fino a notte fonda.
Passata la dodicesima ora Raimondo propose un brindisi:
-In codesta serata volli meco a cena in uno con Alessandro, voi due miei umili servi onde ripagarvi per la fedeltà ed i servigi che mi avete prestati. E tal è il mio riconoscimento quanto la valenza del vino che mescerò io stesso nel bicchiere della staffa. Ciò detto si recò personalmente in cantina, ricomparve con quattro bicchieri pieni e, mostrandoli ai convitati, disse:
-Este, est, est..- [11]
Brindarono tutti e bevvero. Il Principe, dopo l’assaggio, rimase come in attesa di un evento che di lì a poco sarebbe avvenuto.”
 
 
 
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L’idrato di cloralio  fu il primo farmaco con effetti sedativi molto in uso nel secolo XIX, ma già conosciuto dai più esperti alchimisti nel XVII ed XVIII secolo. Esso era un sonnifero che agiva  come depressore del sistema nervoso centrale, ma che aveva catastrofiche controindicazioni.  Il Principe ne aveva diluito un cucchiaino in ognuno dei due bicchieri offerti ai servi.
 
 
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“L’evento si verificò con drammatica puntualità cinque minuti dopo che Pasqualotto e Luigina ebbero bevuto il vino. L’idrato combinato con alcool aveva anche un forte potere ipnotico ed avvenne che  i due vissero una destrutturazione del loro stato di coscienza. Facevano fatica a seguire il senso delle parole con le quali Raimondo li interrogava anche se ne sentivano un forte legame che li rendeva tuttavia in grado di rispondere.
Il Principe attese qualche minuto poi si avvicinò al giardiniere esanime e chiese:
-Chi sei?-
-Pasqualotto di Cancello – rispose il servo con un sussurro.
-E tu chi sei?- disse poi alla ragazza.
-Luigina Pascale del “Pallonetto”[12]- rispose questa.
-E ditemi cosa vedete?- disse Raimondo.
-Niente-.
-Ascoltatemi bene: ora Alessandro inoculerà dell’aria nelle vostre vene. Voi alcun dolore avvertirete, ma sappiate che sarete trasportati in un’altra dimensione della quale dovrete rendermi conto, riferirmi cosa vedete, cosa sentite, dove vi trovate, se c’è luce o ombra, in quale tempo esistete e come esistete se di spirito, se di corpo, se di entrambe le cose. E poiché sarete parte del mio possesso e della mia volontà eseguirete quel che vi dirò e tornerete in ‘sto mondo solo quando e se lo vorrò io. Dopo il trattamento di Alessandro, secondo quanto aveva detto il Principe,  i due servi transitarono dal sonno alla morte in pochi minuti, contrariamente a quanto Raimondo aveva presupposto.”
 
 
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Sonno e morte, da sempre sono stati affiancati l’uno all’altra e legati da messi eufemistici, mitologici, tanto vero è che per i Greci Hypnos, il dio del sonno, era fratello di Tanatos, dio della morte. ). Il sonno, realtà esperibile, reversibile, si è prestato come base per pensare alla morte, di per sé non esperibile e irreversibile.
Ora i due erano faccia a faccia con la morte fronte tra i mondi del visibile e dell’invisibile. Una morte, compagna sconosciuta dei vivi, che Il Principe Raimondo di San Severo pensava di poter governare.
 
 
 
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“Il tocco ritmico di una pendola scavava l’ombra cupa del silenzio nel quale lo sguardo dello stregone apprendista cadeva su quello del suo maestro in attesa.
Ad un tratto il giardiniere emise un flebile lamento attirando l’attenzione dei due studiosi.
-Pasqualotto, per Dio! Dimmi cosa vedi?- urlò Raimondo.
-Oh, signore, se sapeste cosa vedo, gran parte dell’umanità si farebbe grosse risate…-
-Ebbene?-
-Ebbene, signore, non vedo nulla.-
-Ma cosa senti?-
-Oh, mio signore…-
-Cosa?-
-Nulla. Non sento nulla. Per quanto voglia sentire, nulla sento…-
 
Luigina emise un sordo rantolo scuotendo lentamente la testa a destra ed a sinistra. Raimondo le si avvicinò e le chiese:
-E tu, donna, cosa vedi?-
-Spazi aperti per giocare a palla…-
-Giocare a palla?-
-Si…-
-E poi?-
-Vedo…-
Vedi?-
-Mio padre, mia madre, i miei fratelli…-
-Ma sono morti?-
-No, so’ tutti vivi.-
Alessandro seguiva gli eventi in silenzio, mentre Raimondo si spostava da un servo all’altra ripetendo sempre le stesse domande.
Solo al cantare del gallo i due alchimisti si concessero finalmente un po’ di pausa. In quelle poche ore di riposo Raimondo fece un sogno di difficile interpretazione per chiunque tranne che per il suo apprendista che più di una volta aveva dimostrato di dare giusti significati a quanto gli veniva raccontato.
Il Principe sognò di un uomo alto e possente, ma vecchio e canuto con una barba lunghissima. Costui gli apparve ricoperto da un mantello stellato nel bel mezzo di un prato completamente disalberato. L’uomo veniva su da sottoterra e si avvicinava a Raimondo dicendogli:
-Tu  raccoglierai il vento nel cavo delle mani ed avvolgerai l’acqua in un mantello.-
Questo  sogno fu interpretato da Alessandro come un brutto segno.
-Stiamo lavorando per niente – disse -  Non credo che di tal passo approderemo mai a nulla, maestro…-
Quando ridiscesero in  laboratorio, con grande stupore, si accorsero che i due morti-vivi erano scomparsi. Allora il Principe sguinzagliò alcuni suoi  uomini alls loro ricerca per tutte le strade della città, ma invano, questi erano scomparsi!
In realtà si trovavano in una serra in giardino della quale Pasqualotto conservava un ricordo ancestrale e si erano istintivamente nascosti dietro una folta vegetazione. Intanto gli effetti indesiderati dell’idrato di corallo avevano cominciato a devastare i loro corpi i cui pezzetti di carne cadevano via via a brandelli . Sul loro volto apparvero eruzioni cutanee tali da deturparne i lineamenti. Disturbi gastrici provocarono loro il verde vomito della bile mentre una grave e subitanea insufficienza cardiaca  ne determinò la fuoriuscita dei bulbi oculari dalle cavità naturali. Cadendo, quasi sciogliendosi, la carne superficiale fu orrendamente visibile il sistema nervoso e parte di quello osseo. Furono presi da una smania dolorosa e tremenda e, lasciando il loro nascondiglio, cominciarono a vagare per i vicoletti di Napoli dove, al solo vederli, si scatenò un indicibile terrore anche perché scambiati per lebbrosi. La gente fuggiva da ogni parte in preda al panico. Una volta appurato da dove venivano, Alessandro e Raimondo furono arrestati e portati, uno davanti all’inquisitore e l’altro al cospetto di Papa Benedetto XIV che, con bolla “Provvidas Romanorum Ponteficum”[13], scomunicò il Di Sangro e rinnovò la scomunica a tutti i Massoni. Alessandro, portato davanti al Tribunale della Santa Inquisizione, confessò che ogni sua conoscenza alchemica gli fu trasmessa anni addietro dal Principe napoletano. Alle fine del processo l’Inquisitore lesse la sentenza:
-Si condanna e si dispone la perpetua reclusione nella rocca di San Leo dell’imputato Giuseppe Balsamo di Cagliostro, meglio conosciuto col nome di Alessandro…-
 
 
 
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Giuseppe poi fuggì dalla rocca, ma quella fu un’altra storia. Ma cosa era accaduto ai due non morti?  Essi in realtà non erano subito affatto morti. Il vino drogato con idrato di corallo li aveva temporaneamente salvati da un’embolia causata dall’inoculazione dell’aria. Essi morirono in seguito non molto tempo dopo.  I due cadaveri furono trovati in uno dei tanti vicoletti adiacenti alla cappella. Onario di Villafranca, amico del Principe, dispose che i due corpi fossero messi in due teche di vetro nel laboratorio per dar modo agli studenti di anatomia di esaminarne le fattezze. Qualcuno giurò di averli visti muoversi e di aver notato una lacrima uscire da un occhio di uno di loro.
 
 
[1] “Uomo mirabile, nato a tutto osare affinchè nessuna età lo dimentichi.”
[2] Componente mistica esoterica della religione ebraica sul valore dei numeri.
[3] Grillo in dialetto napoletano.
[4] XVII sec. Scavato nel tufo. Vi furono deposti tutti i resti di napoletani vittime di un’epidemia di colera.
[5] Medico tedesco 1734 – 1815.
[6] Nome che i napoletani davano alla cappella.
[7] Moneta borbonica in vigore fino al 1799.
[8] Delicata arte dei fiori.
[9] Fiore bianco e rosa con foglie dentate alto fino a 150cm.
[10] Pianta della famiglia Salica Ecea alta fino a 25 m con foglie accuminate.
[11] Modo di dire d’orogine medioevale per indicare che il vino è buono.
[12] Zona nelle vicinanze dello scalo marittimo diSanta Lucia così chiamata perché c’erano  spazi per giocare a pallone.
[13] Provvedimento del Papa.
 

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