Le streghe – terza ed ulima parte – S. Barbato e le janare - | Recensioni | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Le streghe – terza ed ulima parte – S. Barbato e le janare -

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          Di sicura stirpe sannita e vienerese, è il Vescovo San Barbato, colui che, in Benevento, convertì i longobardi al cattolicesimo. Nato in Castelvenere, per la precisione in contrada Vadari (dal longobardo bagno o terme), San Barbato discende da quel gruppo di famiglie di origine sassone e danubiana che, alla ricerca di terre fertili, occupò il suolo su cui sarebbe sorto Castelvenere.
          Le sue genti, discese dalle terre bagnate dal torrente Wien - affluente del Danubio — venivano chiamate "wiener volk", gente del Wien, quelli che oggi si chiamerebbero "immigrati del Wien" o vienesi (viennesi), la qual cosa fa dedurre che Castelvenere derivi il proprio nome dal torrente Wien, reso famoso per aver dato il nome alla città di Vienna.    Autore del libro Della superstiziosa noce di Benevento, Pietro Piperno (protomedico beneventano del XVII° secolo) fa risalire il mito delle streghe di Benevento alla dominazione longobarda di Romualdo. Salvato dall’invasione bizantina di Costante II, grazie alle preghiere di San Barbato, convinse il proprio popolo a convertirsi alla religione cristiana. Malgrado San Barbato avesse ordinato l’abbattimento del noce, le sue radici sopravvissero, e diedero continuità al mito delle streghe di Benevento, che nel tempo si arricchì di nuovi motivi, fino a giungere all’età barocca, quando si narrava che ai riti orgiastici partecipassero oltre duemila streghe, ciascuna guidata da un demone, in qualità di servo ed amante.
          Leggenda beneventana è quella delle cosiddette janare, poiché nel dialetto beneventano non esiste la strega. Quest’ultima è una figura letteraria, nata in età classica e giunta alla sua odierna definizione soprattutto in età moderna, grazie ai contributi della Chiesa e dell’Arte. Strega deriva etimologicamente da stryx, strige, notturno essere alato che si riteneva succhiasse il sangue dei bambini. Ad essa è associato il commercio col demonio. Tuttavia la strega possiede anche doti positive, come la conoscenza delle virtù curative delle erbe. La janara nasce nella tradizione popolare, e deve etimologicamente il suo nome al latino ianua (porta), in quanto essa è insidiatrice delle porte, attraverso le quali si introduce nelle case. Proprio dinanzi alle porte, narra la leggenda popolare, era necessario collocare una scopa, o un sacchetto di grani di sale, così da costringere la janara a contare i fili della scopa, o i grani di sale, sino allo spuntare del sole, la cui luce le era mortalmente nemica.
          "Cugine" strette della janara sono altre figure popolari, come la Zucculara (sopravvivenza di un’antichissima dea pagana: Ecate), l’Uria e la Manalonga. Oltre che da janua, una diversa e interessante etimologia di janara potrebbe essere legata al mito della dianara, seguace della dea Diana, dea cui erano riconducibili riti notturni detti gioco di Diana. Il mito del noce e del raduno delle streghe beneventane attorno alle sue radici, possiamo trovarli nel "Fiore", poema allegorico attribuito a Dante Alighieri, e nella favola del Gobbo di Peretola di Francesco Redi.
          Il noce sorgeva in un luogo imprecisato, lungo le sponde del fiume Sabato. Documenti appartenenti all’antica tradizione del luogo, però, ci riportano con precisione la formula che le streghe recitavano prima del magico volo che le avrebbe condotte al noce:
 
"Sott’all’acqua e sott’u viento, sott’a u noce e Beneviento".
 
          L’Italia può vantare di essere luogo privilegiato nella storia della stregoneria, grazie al mito del noce beneventano, meta usuale del volo magico e del sabba delle streghe. Le prime notizie riguardanti Benevento come luogo magico risalgono alle prediche di Bernardino da Siena del 1427. Ma vi è, intorno a quel periodo, anche la storia di Matteuccia da Todi, accusata di essere "pubblica incantatrice, fattucchiera, maliarda e strega". Ella confessò l’uccisione di numerosi bambini innocenti, oltre al fatto che, con altre streghe, si recava presso il noce di Benevento, recitando la seguente formula magica:
 
"Unguento unguento/ mandame a la noce de Benevento, supra acqua et supra ad vento et supra ad omne maltempo".
  
 

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