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A caccia di anatre.

Vorrei una torre, in mezzo a un bosco, che dalla cima non vedo la fine. Una torre per rinchiudermi dentro, coi chiavacci e coi lucchetti. Una torre come fine per costringermi sola. Anzi due, due torri vicine, a formare un bell' otto. Grande che si vede dal cielo. Da Google map. E se scendi in 3D mi vedi alla finestra, con la mano alzata, sulla fronte, saluto le lingue d'aria e la lingerie del verde.

Ho dato nome agli alberi che per tutto il giorno mi fissano, ci ascoltiamo e il vento baratta gli odori in cambio di un posto dove riposare.

Entra, si siede.

Gli offro da bere, ma è tanto spossato che cala le tende e si mette a dormire.

Non vorrei smielare la solita autocommiserazione da solitudine.

Non capisco, di nuovo, questo bisogno di implodere senza un posto per disperdermi. Non penso che domani sarà migliore. Sono solo pensieri. Oggi uccidono come ieri. Ma fra poco l'arcobaleno deciderà di tirarmi su e svanirà il nero, ingoiato dai colori.

Gli attimi di coerenza li perdo nei torrenti dove mi chino per bagnarmi le mani, porto l'acqua alla bocca e mi scordo di un pianto, nelle lettere vecchie buttate nella carta da riciclo. Potrei giudicarmi all'istante, con gli altri nella mia mente o dimenticare i vestiti e far finta di niente. Son sempre io, che mi distruggo... o mi salvo.

 

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