Chautauqua dello spazio e profondità nell’uso del grandangolo | Lingua italiana | ferdigiordano | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Chautauqua dello spazio e profondità nell’uso del grandangolo

 
            Ho visto il sole venire alle mani con la luce.
            A conoscerli, s’intuiva che sarebbe accaduto. Ho taciuto, non c’era altro da fare - mai intromettersi quando è in ballo la ragione. Questo perché la luce, proveniente dal sole, non può avere alcuna rivendicazione, che so: un aumento di grado, una nuova direzione, un’ora di spacco, una libertà associativa col suono.
 
            Il disco immenso, così piccolo da tenerlo tra due dita lì dov’è posto, possiede un suo salvataggio operoso. Una sorta di emergenza distinta: la nuvola da comporre se avvampa troppo. Da quel punto, chi vi parla, ha escluso la miopia delle congetture. La non fruibilità delle deduzioni.
Qualcuno osserverà che anche la pupilla possiede una sua rivoluzione, che la lingua deve stare in un’orbita semplice, meglio retta dalla povertà di parole. La risposta oggettiva è che, nel caso delle stelle, l’universo possiede una strategia per far sue le stagioni, come pure le rotte.
Quale significato avrebbe Sirio nella liturgia del grido sul mobile comodo su cui poggia in bella vista l’usignolo della sillaba indistinta e tutta la voce per farlo apparire l’aquila che regge il mondo?
            Quell’astro ha visto scrivere le scorie sicure della nomea, ha abiurato la cruna della conoscenza per un antro nelle viscere della terra - la stessa Terra che germinò la costa (da cui il mito dell’orizzonte sempre in linea con gli eventi), l’osservanza della traccia, la supremazia dei precedenti, anch’essi parziali, anch’essi solo porzioni.
            Una pietra lucente che non corrisponde al risaputo, ma cerca l’inespresso, la certezza che chi si avvede della roccia sconosciuta giocoforza la scala; e trova una vetta. Ma, di questo, la luce parla di meno, obietta la tracotanza del suo inestinguibile ghigno irrisolto, che, guardaunpo’, come lei nasce per testimoniare il sole.  
 
            Eppure si oppone, chiedendo che il giorno divenga giorno tutto intero, senza sera nè notte, forse nemmeno il tramonto. Solo lo stesso giorno per tutti, come da farmacopea.
 
            Sparito il buio, rimarrà l’ombra, unico testimone a favore dei corpi svuotati. Ci saranno sigilli splendenti intorno alle cose: le riconosceremo non dall’uso, ma dalla somiglianza alla roccia.
Funzioneranno chiavi per una sola mandata ai fori dei non utenti. Si chiuderanno nuove prospettive alle case e dai tetti scoperti la luna sarà dannatamente nota per il suo argento che non c’è.
 
            Nessuno muore in queste condizioni, né si cancellano i perimetri dei vuoti. Le pietre vivranno col loro salario di polvere.
 
            Ferisce anche noi, ma è una buona soluzione: ora tutti sanno dove guardare per scoprire cosa sono, in fondo.



 

 

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