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Cronaca di un viaggio - parte terza

Ero atterrato, ero in Venezuela, mi sentivo euforico. Avevo attraversato l’oceano e ora dovevo capire cosa dovevo fare.
Dunque vediamo, appena si atterra si cercano i bagagli. I bagagli non erano nel mio stesso aereo, il trasporto bagagli è a carico di Alitalia, indi i nostri bagagli erano arrivati addirittura prima di noi.
C’era una fila di rulli a destra e a sinistra, guardo il tabellone e indica un numero.
Ora gli scrittori, quelli bravi davvero ricordano il numero e lo dicono, io faccio fatica a ricordare cosa di avessero dato da mangiare sull’aereo.
Una cosa buona per la mia vicina, aveva detto ci danno la comere, una commare a pranzo? È indigesta cavoli.
Insomma il numero dell’uscita bagagli c’era, ma io non trovavo dove fosse la scritta, mi guardo attorno e con non curanza guardo dove vanno quelli che erano sull’aereo con me.
E aspettiamo, il tempo passa, la gente picchietta, poi all’improvviso questi benedetti rulli si mettono in moto e dalla buca centrale sbuca il primo bagaglio esce e ora so per certo che non riconoscerò mai i miei.
Sono tutti simili e io nemmeno mi ricordo di che colore sono i miei.
Per un paio di volte penso di aver individuato una delle valige.
Nulla, c’è sempre qualcuno che se le porta via.
La gente scema sempre di più, mi sento come un bambino che uscito dalla scuola vede andar via i suoi compagni ma dei propri genitori nemmeno l’ombra.
Il primo che racconta che caso mai io mi sono dimenticato un figlio a scuola lo banno.
Insomma nulla, delle mie due valige o malette in spagnolo, nulla.
Siamo in cinque a essere senza valige e il primo si mette in fila ad un banco dove un funzionario riempie le denunce.
Un italo-venezuelano mi traduce dicendo che sono rimaste a Madrid le nostre.
Cerco di avvertire Mario, ma non ho il suo numero dietro e forse non posso chiamarlo con il mio e insomma non lo vedo nemmeno dietro il vetro.
Perdo la fila due volte e alla fine riesco a dire a Mario a gesti che ho perso le valige, mi fa cenno di uscire, ma l’ufficiale mi dice o mi fa capire che se esco non torno poi indietro.
Ora, sei appena arrivato dopo un giorno intero a Caracas, sei senza valige, hai solo un cambio nel bagaglio a mano, non parli una sola parola di spagnolo e questi parlano solo spagnolo, nemmeno inglese, non che la cosa faccia per me molta differenza, insomma sei un tantino incazzato, ma quello che ti preoccupa di più è il fatto che quello addetto alle denunce facci tante domande agli altri e tu, dico tu, che gli dirai Pino?
Non so come ho fatto? Io non abla espagnol, nada senior, ma quello si è preso i documenti miei e ha riempito qualcosa e mi ha anche dato un numero e detto che dovevo telefonare il giorno dopo dalle ore 3 del pomeriggio.
Finalmente esco, dopo aver discusso con un tale che voleva l’indirizzo di mio cugino, io che avevo scritto tutucacas al posto di Tucacas figuriamoci se sapevo l’indirizzo.
Insomma ecco Mario e mio zio e via di corsa a casa.
Esco all’aperto e solo allora, solo in quel momento capisco di essere in un altro mondo.
Il caldo, è notte, ma fa caldo fuori, un tipo di caldo che non conosco e avverto un odore sconosciuto, in quel momento anche il mio corpo cambia odore, penso fosse a causa dei batteri diversi, insomma in quel momento penso che puzzo di un sudore acidulo.
Mario ha una bella macchina, spaziosa e capiente, ma non cito la marca, per non fare pubblicità, ma spratutto perché non so scrivere Chevrolet.
Si parte, destinazione Caracas, casa di Xiomara.

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