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Dall'ascolto: la tua presenza

Il testo che segue è nato mentre assistevo alla proiezione del video preparato da Ormedelcaos in omaggio all'opera di Giovanni De Noia. Esso è quindi interno alla struttura dei frame, giacchè legati ai versi, e danno verso, alle immagini che scorrevano davanti ai miei occhi. Non è una aggiunta, nè un'addizione emotiva a quanto già da sola l'opera dei due Autori è capace di sollecitare, ma è appunto quanto in me hanno mosso. Ogni verso, e più di una strofe, sono quindi legati ad una tela. Al lettore il piacere di scoprire quali i riferimenti.
Ciò detto, mi scuso con entrambi se dovessero ritenere che il mio testo inficia i loro sforzi e li rendo padroni di eliminarlo a semplice richiesta.
Perchè, comunque, si abbia una visione completa, occorre che io richiami il video in questione. A parziale mia discolpa, dirò che mi è piaciuto assai assai.
Buona lettura (spero).

Gil 

La tua pupilla d’oro è nel crocchio nero.
E nero il tiro a due che trasporta
il tuo sguardo a squarciagola.
Un crescendo il grido ai denti versi
piegati in gola come una grata
alla clausura del cuore.
 
E la festa, il riso, l’ombra che cercammo.
 
Eri d’acqua a mani basse
e mostravi labbra dall’antica tessitura di tua madre.
 
Dal fondo emerse quel tuo scheletro esploso
al sole. La ridodanza ai gialli, il giallo sulle quote.
Il battito del sangue era un timore
un’invadenza senza precedenti di viole
un campo a steli nudi la tua mano
e fluido ruscello lo schizzo nei capelli.
Il tuo corpo prono rigava a strisce il cielo
e il cielo stesso dormiva sul tuo fianco a zolle.
Un’agave, ecco, un’agave di luce s’innalzava
al monte: un orizzonte la cordigliera del tuo seno
il frumento a manto dei suoi piedi
la linguacciuta corsa del mio sesso al tuo
la corda del ventre che cala al pube
una fonte in fuga, lo stare al mondo più uomo
e sono:
una riva al lago, una messe di ponti
archi tuffati verso la foce… oh,
la foce al culmine e un mare in petto
un arcipelago di ori infusi
il corallo all’alba della pelle
quando ti nasce la prima ombra.
 
Portami alla tua cintola come una grande foglia.
Raccoglimi frutto e dammi il tuo morso
dammi il tuo grido d’argilla
che io possa un vaso di parole
distendimi ad ogni udita voce
vengano tutti i viandati che ti videro per sentieri
arginare il cielo.
niente cadde dalla tua bocca sazia e muta
niente che non ampliasse il fuoco.
 
Nel limite del braccio una peluria di sospiri.
 
E poi di nuovo fiamme
dal turbine arruotate
dov’è l’arcana impronta
dell’ansia distesa in urla
ai nodi, ai codici risolti
dell’aria fusa che tu muovi.
 
Provami con denti arcigni
dai risposte ai morsi
piegati, piegati! e trova
il giusto nesso a mani
che curvano il  tuo dorso.

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