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Daniele Vergni e la sua eleganza vagabonda: Di-verso In-verso.

 

Daniele Vergni e la sua eleganza vagabonda: Di-verso In-verso.
 
Di-verso In verso (Arduino Sacco Editore, 2009) è la seconda raccolta di poesie, dopo la timida e spietata Mutilazioni (Ismeca, 2009), dell’artista – mi piace definirlo così perché la parola poeta, per lui, è troppo riduttiva – Daniele Vergni.
La raccolta è divisa in due parti, o meglio, in due frasi legate da significativi punti di sospensione: In di-versi contenitori d’umori perdo ma… e …potrebbe avere un senso perdere, se la vittoria non fosse così crudele. Siamo in un continuum delirante di parole che sfiorano già il caos.
All’interno della sua raccolta, Vergni attua l’instancabile esercizio della mutabilità, dove anche la fine non riesce ad avere una fine e il nulla vaga, consapevole del vuoto creativo che può donare allo scrittore: Frangenti uccisi dal nulla che vaga/cerco ripari inutili a tutto questo./Perché?/Tutto=nulla=cosa?/Ecco, sono alla fine, quale?(p.22). E, paradossalmente, la perfida e astuta instabilità si insinua là dove dovrebbe esserci più stabilità, come un gioco schematico e beffardo di finti labirinti: Sono i labirinti quelli in cui si vive,/a volte lineari e scontati/a volte pericolosi/come terremoti, ma sempre articolati/secondo leggi/dettate da qualcuno/che non vale poi molto/secondo il metro/dei miei passi insicuri/verso il vuoto (p.15).
In queste sospensioni e nebbie dell’animo, il corpo rappresenta solo un involucro, un mezzo per capire che esistiamo come materia, quella bruta creata dall’uomo – asfalto, cemento - , che fa da schermo alla sensibilità e alla delicatezza che si nasconde agli angoli delle nostre strade interiori.
Nelle poesie di Vergni, non ci sono certezze: le verità sono perse, gli attimi e i momenti non durano in eterno, l’istinto regna sovrano e genera vortici di parole, l’anarchia si sente sotto pelle, l’essere umano è una briciola, che si perde come fumo.
Ciò che conta più di tutto è il linguaggio, la sua continua sperimentazione, come un terremoto poetico, in cui le contaminazioni diventano impossibili, proprio come accade in The Rotten Manifesto: Lampeggianti disabili spenti./Fratture multiple esposte al sole ad essiccare./Carne cruda che marcisce (p.17).
Le parole, con il loro instancabile fluire, generano i moti essenziali della vita e dell’oltre che diventa percezione di se stessi. La pausa, l’immobilità sono simili alla morte. Solo una voce: la poesia e la sua forza vagabonda.
La sera,/il buio invade,/inciampo tra i miei io/impazziti dalla lontananza…(p.61)
 
Mariella Soldo-Notterrante

 

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