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Dell’heautontimorumenos, ossia dell’Italia

Hanno incastrato Zagaria, il super-latitante della Camorra, cupa eminenza grigia dell’atroce cupola malavitosa partenopea e di “Gomorra”, libro di Saviano, poi film, triste Iliade del malaffare nostrano. Ciò che meglio impressiona il libero osservatore, sarà la prossimità, se non l’identità, culturale, antropologica, di questo campione della pochezza e abiezione umane con il genotipo  della nostra rappresentanza politica. Un archetipo del sapere inteso come assenza di intercessione e di misericordia. Una interpretazione della intelligenza come indifferenza clinica al patos dell’”altro”, pari a quella del chirurgo che, onde rapportarsi al corpo come oggetto della sua prassi, è costretto ad astrarre dall’anima che contiene.
Circola in questi giorni un filmato che riprende, in candid camera, deputati e senatori della Repubblica affrancati dal peso, appunto, della rappresentanza e quindi “liberi” nel loro genuino rapporto alla quotidianità. Non sono soltanto i cloni di Zagaria, ma lo superano nella loro triviale, insaziabile cupidigia. Al confronto, Zagaria somiglia ad un crudele, ma raffinato signorotto medievale, feroce e cortese lui, come zotici e grotteschi loro. Ma nella sostanza sono identici. E il loro comun denominatore non è che la determinazione, scambiata per intelligenza, al cinismo morale, porta d’accesso ad ogni fortuna. Una razza vecchia: i nazisti apologizzavano come coraggio il rapporto freddo dell’”operatore” dei Lager col “materiale” umano della sua attività. Un errore radicale, primigenio: l’atteggiamento opportunista, e quindi crudele nella sua abrogazione degli scrupoli umani, non solo non è intelligente, ma, chiamando in causa un istinto atavico e “animale” nell’appetire le proprie prede, si oppone all’intelaiatura linguistica, razionale dialettica dell’intelligenza, tendente a concepire un disegno logico in cui il massimo risultato sia conseguibile attraverso il minimo sacrificio. Così, questi scellerati agiscono all’incontrario: per raggiungere nel modo più spedito e appunto meno dialettico – meno intelligente – possibile il proprio scopo, non peritano in alcun indugio “civile”, morale, o, men che meno, umanitario. E pagano con il massimo sacrificio possibile di propri simili il prezzo dei loro orrendi trionfi.
Questo errore non si limita soltanto alla crudeltà e alla involuzione intellettuale di chi lo compie, ma penetra ulteriormente nella struttura profonda dell’ego intersoggettivo cui siamo volenti e nolenti affiliati, snaturandone i fondamenti. Di modo che l’ultima scintilla di intelligenza dilegua da quel cosmo-mondo dell’istanza cinica, di machiavellica memoria, e in luogo di dannarsi per un proprio particulare  in cui sia almeno “il mio bene” l’epicentro dei mali recati in altrui, ci si vende al diavolo inconsciamente proprio per imbandirsi la tavola del proprio auto-sbranamento. Un offertorio, un olocausto delle proprie carni alla belva auto-antropofaga che alberga nel buio inconscio della bestia che siamo.  
    
Quello che si può fare è evitare almeno che questi nostri atroci coinquilini divengano i nostri “amministratori”, impedendo loro l’accesso a cariche pubbliche. La Camera dei Deputati è diventata un bordello; gli “onorevoli” non sono più oramai che “uomini d’onore”. Sembra un acquario osceno in cui sguazzano topi e tope, topiche e turpiloqui, come una fogna a cielo aperto. Ottenebrati dall’illusione d’esser “veri” come “la gente”, questi odierni filistei non si rendono neanche conto di non rappresentare altro che la putrefazione di un ciclo storico, la sua decadenza, la sua estinzione. Essi non sono che lo Stato di decomposizione di un’altra realtà che gli è morta addosso. Qualcosa di già noto del resto, un dejà vu che la storia avrebbe potuto palesargli come decadenza dell’Impero Romano, dell’Ancienne Regime, della Repubblica di Weimar, ma che i loro sguardi suini e i loro cuori secchi, poco avvezzi alla storia e alla cultura, hanno per sempre disconosciuto.

 


  
    
 

 
 

 

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