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ATTENZIONE (... ai coristi)!!!!

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Bene, la corale "Venite al dettaglio" chiude. Grazie a quanti hanno partecipato arricchendo il percorso con grande disponibilità, opere e /o missioni. Ora mi tocca lavorare per comporre il puzzle e dargli una forma pubblicabile che potrete scaricare e stampare. Qui di fianco la copertina.

Nel frattempo, Vi chiedo l'ultimo sforzo. Raccogliete i brani che avete scritto, fatene un'unica o al massimo due poesie. Avete il materiale: tagliate, pulite, cambiate ciò che volete, ma provate a farne un unico corpo. Poi, pubblicatela (chiedo a Manu o ad Annie di aggiungere il tag 'Nata da una corale'). Le raccoglierò e ne ricaverò una nuova raccolta che avrà il titolo del tag aggiunto.
Ovvio: siete liberi di non farlo.
Di seguito, ciò che ho ricavato dai miei interventi. 

Duende
“Il duende non sta nella gola; il duende monta dentro, dalla pianta dei piedi” -  F.G.L.
 

Il miracolo, quando ti attraversa, ha già un nome.
Ieri l'altro è accaduto ma lo constato oggi
perchè sono umano, perchè sto ancora in piedi.
D'improvviso passa una gatta, scova gli odori:
come ossigeno rarefatto o persecuzione.
Così siamo noi. Ci preoccupa il futuro
che annusavamo ieri, affollati di osanna
ripetendo estatici: poiesis poiesis eleison.
Ecco la forza straordinaria del mito - indicavo
a Ennio - che più si consegna più si racconta
e più la fragilità prende colpi.
Porta lontano, sì, sempre più lontano
il corso del cielo a ritroso. Ci pare di anticiparlo, ma vedi
com'è pieno di mistero se noi lo pensiamo
e qualcuno lo percorre.
 
Avverto il presente con qualche remora, piuttosto
che nesso tra arrivo e congedo, scivolo per l’inferno.
Prende una brutta china, ma è un disegno
estremamente curato: il plotone degli angeli
mi ha puntato contro le candele della grazia
appena l’outing trapassa le grate.
Il disegno, il disegno, il disegno se combacia al miracolo!
Rido alla grande: in questa epoca di fibre ottiche
che altro vuoi si veda con il muscolo del verbo
concesso alle volte dei millenni?
 
Diventa fuorviante legarsi il cielo al dito, perpetua
discendenza nella defezione congenita
da quelle case lungimirate, luminose
fatalmente inesistenti, per noi, bave gravitazionali:
- Mamma mia, Buzz! Siamo solo i primi quassù...
Era il satellite disceso, è soltanto una roccia per le maree.
 
Chiedo mi colpisca una pallottola di luce.
Voglio un profilo di vittima a norma di legge,
una battaglia stellare con tutte le regole. Mi piace
questo nemico provocato dall’estro, io stesso o
una profonda informe congettura di fuochi.
Se esce dal cono della mente
la rapidità dei bollori appare fluidità vocale. 
Ora è un motore che romba
e appena il suo viaggio comincia nella gola
sfrigola l’occhio mentre tampona. 
 
Allora cerco tutto il cotone e le domeniche
sfoderate di recente. Quelle in cui vedo un riso,
ti ricordo, la risata con cui l’orda del mare venne allo scoglio.
Iniziò lo scontro tra elementi tanto diversi. Federico tornò
alla terra. Analizzo questa parte: in realtà fu sommerso
dalla terra, zolle comuni a tutti per Lui diverso.
Lui, acqua dell'oasi fraudolenta (il miraggio) o il disegno
reso deserto, già dalla cornice con tre o quattro
o solo mille granelli consenzienti al vento.
 
Avevo la bocca a caverna come il foro sulla sua camiseta.
Quella bocca che viene giù dal pozzo stratosferico
dove solo pochi esseri possono dissetarmi bene.
Tutto il chiaro possibile è lì e scende trasparente.
Avevo la bocca vuota. Ho ancora un morso inesistente.
Lui ha lasciato i denti. Si sta bene a capirne il duende
poste le lingue circonflesse come accenti
perchè meglio le gocce fluiscono in gola
meglio sale il ghibli dal petto,
davvero quasi deserto, con tre o quattro
o mille granelli assecondati da sillabe superstiti.
 
 

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