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Dalla seconda lettera a Xxxx

 
Xxxx, ieri ti ho risposto: non sono informato
dei fatti; e benché io stia qui nei fatti, seguo
la casa ovunque vada liberandosi. La casa
è il bisogno di furore più contenuto, quasi parco,
ma senza giochi, urla e saluti.
L’età chiede attenzioni diverse – un fuoco
più lento ora, ad es.
                        Ricorda di ridurre la fiamma
al tuo respiro dopo lo sforzo dell’incubo eterno.
Non c’è un metamero che convenga.
Qui il cielo si abbassa, mette radice nell’asfalto.
Si cammina con il corpo piombato tra noi.
Sul lungomare lo apriamo alle risa: bambini,
frangiflutti e badanti parlano con frasari distanti,
sembrano perentori ma invocano a lampi.
Non so se hai visto la spiaggia; ha orme più leggere,
incavi appena accennati: la risacca ti manca?, è
una lingua malata, contrae la seduzione invernale,
la discesa del fresco sulle spalle.
                        Si piscia ancora al largo,
il mare è un pitale dato agli scellerati. Io piscio a casa,
ma bevo da questo mare la sola nascita mai abbandonata.
                        Anche per questo
vengo da molte domeniche a cercarti, quasi
per sbaglio ormai: il richiamo dei luoghi è amaro,
non indica chi ne è padrone, ma ogni luogo è un mago:
fa il suo gioco, illude per apparire tuo, in verità
troppi occhi lo hanno visto sedurre chiunque.
Il posto giusto non ci è mai dato in esclusiva.
Il posto raccolto appartiene a chissà quanti
itinerari. Così ti spiego la mia mappa.
Cammino a sbafo su tutto quanto mi regge:
asfalti, maioliche, folle, terrazze, visi, orecchie.
Quello che i piedi sopportano è nell’aria pesante.
Vorrei calzare le mani perchè il vertice della vita
si va abbassando: ogni radice sembra tirarmi.
Non è possibile, mi ha detto O,  
quanto accade è immediatamente deciso
dal circostante. Subito dopo agisce la mimesi.
Per ciò, siamo all’impronta; ne hai lasciate?,
ne lascerò?, le orme raccontano cosa?,  la trama
è così piena di suspence che la nostra vicenda
appare all’improvviso un colpo fortunato.
 

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