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Sentito da lontano

 
 
Viene data luce alla finestra: come previsto
il cuore della notte batte fino a qui, conferma
il chiaro possibile, poi trasuda blandi riflessi.
Anima, ti vedo giorno prima che sia altrove,
fin quando regge il progetto della radice.

 

Sapevi che le radici sono le albe terrestri?
E la radice, e l’alba, sono al davanzale per me.
Ho questa idea, tipica del lungo tempo, complesso,
dell’attimo corrugato. Già spiegato, il pianeta espone
la mia faccia al sole: le cesoie della luce sfoltiscono la notte,
recidono la linfa, turlupinano il gambo, non dura un giorno.
  
Da illuminato in breve segui una tinta, non in casa, là fuori.
Molto è riassunto negli occhi. Tutto si spiega così: al di qua
della pelle piova quel che vuole; in oltre, il popolo delle nuvole
si muove a stenti. O evapora a scelta, anima, sunto dell’acqua.
Ma sempre oscuri si alzano questi morenti.Circoscritti
anche loro, poi branco per niente. Tanto hanno dato,
nulla li incarta il vento. Viene una somma che richiama lemmi.
 
Ed io ti amo avventatamente. Folate, dici. Vieni alla finestra
sussurrata. Sono l’edera, dici. E verticalizzi questa data,
ma non se ti sdrai nell’occhio, se indugio nel congedo,
che è come dire che mi è indispensabile la tua contemporaneità
con la mano pensata, quantomeno a tesa.

 

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