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amarezza

è già relativamente straziante
che mio padre abbia venduto
la robustezza della sua schiena
per un sogno di nessuna importanza
chiamato vita familiare,
che nel libro della Genesi
Dio chieda ad Abramo
di sacrificare il suo sangue
per una cruda dimostrazione di potere,
intendiamoci, io sono solo
come la puzza di un escremento
lasciato a seccare sotto un timido sole primaverile,
e vedo tutta questa vita così assurda,
il senso che sfugge come uno sguardo misterioso
che ti s’incrocia per un attimo in ascensore,
mio padre che mulina i braccioni
di sessantadue anni di lavori manuali,
Abramo, Giovanna D’Arco, Friedich Nietzsche,
il manovale ventiduenne che vedeva la faccia della madonna
dipinta sui prati del suo complesso,
tutto questo dolore, tutta questa pazzia
che mi vengono incontro e si rovesciano su di me,
io ho sentimenti tristi
quando penso alla natura inflessibile del ferro,
al cuore umano, che non la smette per un secondo di pulsare,
dalla nascita, dal concepimento,
una cipolla rossa inzuppata di sangue e delle lacrime delle origini del mondo,
e penso a mio padre e penso ad Abramo,
così piegati, entrambi, da qualcosa di più grande di loro,
così costretti a combattere
per non cedere alla condanna,
e ci sono cose che non capirò mai,
mi siedo nello spazio della riflessione,
adopero la poesia come un bisturi potente,
ci sono poche cose belle,
è più un lenitivo, un anestetizzante,
questo nostro divagare oltre le mura coperte di calce. 

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