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cose che mutano, all'infinito, da sempre, per sempre

ma come farei, io, a sentirmi messinese,
attaccato a radici deboli
come la delimitazione geografica di un pezzo di terra,
quando abito da sempre il mio corpo
e sono da sempre intrappolato in quest’Alcatraz di cellule,
quando se mi taglio il sangue scivola giù
e mi macchia i pantaloni, le mie gambe di carne,
questa prigione di muscoli e dolore e limitatezza,
io, che sono nato nella luce d’oro
di uno strappo nel tessuto della regolarità,
quest’anima mia che ha voglia di uscire
 e considerare la sconfinatezza.
non siamo di nessuna terra,
semplicemente stiamo chiusi per un po’,
mettiamo giù la destra e la sinistra secondo leggi precise,
impariamo a non volare,
quando, forse, volare è tutto,
impercettibile luce che strabuzza nell’istante,
oltre l’ultimo buco nero nel polo nord dell’universo,
oltre l’essenza stessa del divenire,
cose che mutano, all’infinito, da sempre, per sempre.  

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