Scritto da © ferdinandocelinio - Gio, 24/11/2016 - 02:28
c'è questa ragazza dentro la mia stanza
che smanetta al computer agitando
i piccoli piedini fasciati da graziose calze azzurre
e ci sono minuscoli animali intorno a lei,
ma lei sembra non badarci,
prende la bottiglia, ci si attacca come
ad un ciucciotto,
ogni tanto fischietta,
mentre io me ne sto sdraiato sul letto
a fissare il soffitto, a pensare a cose
importanti, meno importanti.
diciannove anni devono essere il momento
in cui la distanza tra inganno ed esperienza
è più che altro una voragine;
non capirai mai il mio cervello, mi dice,
io rido e chiudo la testa dentro il cuscino,
essendo presente ma assente.
volevo cercare uno spazio, alla sua età,
ambivo all'indipendenza e alla irregolarità,
quello che ho trovato, si direbbe,
è solo la crepa del mio disagio, il percorso
verticale verso la fine della luce.
ora le vado incontro e lei sembra
non badare neanche a me,
le cingo la vita, faccio in modo che i suoi capelli
mi finiscano sul viso,
ti strapperò via dalla tua ingenuità, le dico,
e io ti manderò sottoterra, dice lei ridendo;
la luna sembra partecipare a questo rito melanconico,
io che mi specchio in questa bambina inquieta,
lei che gioca a fare la donna,
tutte le cose ferme come nello sfondo di una fotografia,
solo l'orologio va avanti, segna l'una e cinquantasette.
non capirò mai l'odore delle cose che invecchiano,
ora sento solo un olezzo dolce solleticare il mio naso,
lei si agita, si dimena, balla, è nel pieno della vita.
bene. questo è giusto. ma io. dove sono io?
che smanetta al computer agitando
i piccoli piedini fasciati da graziose calze azzurre
e ci sono minuscoli animali intorno a lei,
ma lei sembra non badarci,
prende la bottiglia, ci si attacca come
ad un ciucciotto,
ogni tanto fischietta,
mentre io me ne sto sdraiato sul letto
a fissare il soffitto, a pensare a cose
importanti, meno importanti.
diciannove anni devono essere il momento
in cui la distanza tra inganno ed esperienza
è più che altro una voragine;
non capirai mai il mio cervello, mi dice,
io rido e chiudo la testa dentro il cuscino,
essendo presente ma assente.
volevo cercare uno spazio, alla sua età,
ambivo all'indipendenza e alla irregolarità,
quello che ho trovato, si direbbe,
è solo la crepa del mio disagio, il percorso
verticale verso la fine della luce.
ora le vado incontro e lei sembra
non badare neanche a me,
le cingo la vita, faccio in modo che i suoi capelli
mi finiscano sul viso,
ti strapperò via dalla tua ingenuità, le dico,
e io ti manderò sottoterra, dice lei ridendo;
la luna sembra partecipare a questo rito melanconico,
io che mi specchio in questa bambina inquieta,
lei che gioca a fare la donna,
tutte le cose ferme come nello sfondo di una fotografia,
solo l'orologio va avanti, segna l'una e cinquantasette.
non capirò mai l'odore delle cose che invecchiano,
ora sento solo un olezzo dolce solleticare il mio naso,
lei si agita, si dimena, balla, è nel pieno della vita.
bene. questo è giusto. ma io. dove sono io?
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