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Tre poesie

Non sono ferrato con le cose pratiche.
I piatti da lavare, le riparazioni.
Ho tutto dentro un mondo di gingilli e bocciature.
S’accomodano le sagome dell’angoscia
come fossero giganti che scendono dal nord con una torcia in mano.
Calze da lavare ammonticchiate
su un cratere zeppo di magma.
Mi sperimento con la chitarra della creazione.
Vorrei lasciare una chiazza.
Farmi notare.
Saltare come un grillo psichedelico
sulla montagna dell’esaltazione.
Come fare a lasciare l’ego a una quota normale?
 
 
 
*
 
 
 
 
Ho tutto quello di cui ha bisogno un uomo non banale:
mutande ampie dove far respirare il pisello,
parole che m’assalgono,
e tante e poche approvazioni.
Ho anche un dolore essenziale che non tradisce,
poca voglia di fare le cose,
30 o 40 quadri del periodo in cui dipingevo
imitando Schiele,
e troppe rabbie, che come un giuda qualunque
mi portano a tradire i miei ideali.
ho solo polvere rubata al sacco della morte.
Un pugno di cecità.
La vita.
 
*
 
 
 
L’Italia siede sui gradini di un ospizio
con la malinconia negli occhi di chi presto morirà.
Ha una croce d’incapacità sulla guancia sinistra
e sulla destra ricordi di atrocità
 come per  l’allevatore che manda la sua bestia
a morire in un mattatoio.
Ha troppi poeti nello zainetto
e qualche Papa che non è mai stato Santo.
L’Italia è una creatura fragile
che ha una crisi d’identità
quando vede tutti i suoi padri
riflessi allo specchio.

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