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Enrico B.

 
 
Rincontrai Enrico dopo tre anni e mezzo che non lo vedevo, mi sfrecciò di fronte con il suo Ciao bianco in un tardo pomeriggio di Ottobre. Io ero in vespa nell'altra corsia. Mi saluto fece inversione e mi raggiunse.
“ Ciao Gigi come stai ? “
“ Ciao Enrico che bello rivederti “.
 
La vita di Enrico non ebbe davvero un buon inizio. Sapere di essere il figlio di una prostituta di strada, essere abbandonato in un orfanotrofio, sapere di avere altri fratelli che avevano subito la sua stessa sorte, non doveva certo avergli dato lo spunto giusto per vivere.
Poi la sorte girò. Una coppia buona lo adottò. Gli diedero una casa e affetto. Forse però era troppo tardi, Enrico non seppe approfittare di questo secondo inizio.
Quando fece le medie iniziò a dimostrare un indole dolcemente ribelle. Non era un bullo, non lo fu mai. Ma amava portarsi al limite delle situazioni, amava fare soldi facili. Iniziò a rubacchiare. Dapprima solo cosette, entrava nei negozi e poi si metteva in tasca la prima cosa che trovava. Poi anche soldi, li rubava a chi poteva e appena l 'occasione glielo permetteva.
Eppure era sempre gentile, educato oserei dire, positivo. Io mi ci affezionai a lui, a Enrico. Divenimmo amici, anche quando gli altri lo schernivano per i suoi modi estremamente dolci. Non mi importava di quello che dicevano, con me Enrico era sempre stato leale.
Così quando mi dissero che i suoi lo avevano messo in collegio per la sua ennesima marachella mi dispiacque molto. Seppi poi che si era drogato e aveva rubato somme più grandi, da qui la decisione di rinchiuderlo in una casa famiglia, in una sorta di colleggio che lo aiutasse a riprendersi
 
“ Quando sei tornato ? “ - Gli chiesi.
“ Da qualche settimana. Vieni a trovarmi, vivo sempre nella casa dei mie, anche se ora sono solo “.
 
La madre adottiva di Enrico era morta, il suo cuore non la resse più. Mi dispiacque perché era una donna buona e tranquilla. Quello che non sapevo è che anche suo padre adottivo era morto. Si era suicidato, si era buttato sotto un treno.
Enrico me ne parlò quando andai a trovarlo a casa sua. Mi disse che lo avevano chiamato per il riconoscimento. Alzarono il lenzuolo e piano piano gli mostrarono il corpo, le gambe, il busto, il dorso, e poi la testa mozzata affianco al corpo.
Mi disse che alla vista della testa svenne. Rimasi sbalordito da quel che mi raccontò. Mi pareva che ancora una volta la vita si fosse accanita contro di lui. Era smarrito e solo. Il padre si suicidò a causa della morte della madre e perché a detta di altri Enrico non si era dimostrato un buon figlio.
 
Cercai di consolarlo, gli dissi che poteva trovare una brava ragazza e mettere su una nuova famiglia,
che nulla era perduto che poteva ancora essere felice.
“ Io non posso sposarmi e fare figli “. Non capii, e insistei, “ Certo che puoi , perché non puoi, tutti si sposano e hanno figli “.
“ Io no “ Rispose di nuovo lui, “ Lo so che ti scandalizzerò di nuovo ma io sono omosessuale “.
 
Per un attimo non seppi cosa dire, mi tornarono in mente tutte le dicerie dei nostri compagni di scuola, le loro battute su quei modi cosi gentili, i loro scherni. Allora avevano ragione, avevano visto ciò che io non volevo vedere Enrico era gay.
“ Da quando te ne sei accorto? Di esserlo intendo ? “ Gli chiesi
“ In collegio un ragazzo più grande si è intrufolato nel mio letto una notte, ed io gli ho lasciato fare.
In quel posto erano in tanti a essere omosessuali “.
 
Va bene, non era successo niente, essere o non essere gay era una sua scelta, io non la condividevo ma era la sua vita e lui doveva viverla secondo le sue scelte.
La sua vita poteva ugualmente svolgersi in tranquillità, quella tranqillità che da tanto tempo mancava a Enrico.
Andai a trovarlo spesso da quella volta, era un amico a cui tenevo davvero molto.
Un giorno dopo che entrai a casa sua mi fece sedere e mi disse che voleva presentarmi una persona.
“ Daccordo “, risposi io
Chiamò Antonio. Antonio entrò nel salotto. Era un ragazzo molto bello, moro con due splenditi occhi azzurri e lineamenti perfetti.
“ Lui vive qui con me ora. Non stiamo insieme è solo un mio amico, anzi un amica: Antonella “
Ci presentammo e iniziammo a fare amicizia. Il suo volto era leggermente truccato, aveva un po di fondo tinta e matita agli occhi. Enrico mi confidò che Antonio cioè Antonella si travestiva e usciva vestito da donna. Diceva che lo faceva perchè così si sentiva davvero bene. Accettai tutto senza falsi pudori, dopotutto era la loro vita e le loro scelte non potevano essere dettate da altri.
 
“ Io non mi travestirò mai, non mi sento a mio agio ad uscire così “, disse Enrico. Tirai un sospiro di sollievo perchè non volevo che Enrico si travestisse. Ma non mantenne la parola, alle altre visite lo trovai vestito da donna e divenne la sua normalità.
 
Un giorno gli chiesi “ E Dio ? “
“ Io non posso avere più Dio “, mi rispose, “ La mia scelta lo ha allontanato per sempre dalla mia vita”
Mai frase fù più vera. Col tempo Enrico iniziò a prostituirsi, con chiunque anche con chi di giorno lo sbeffeggiava. Iniziò a drogarsi e tutti i denti iniziarono a marcirgli in bocca. Dimagrì e gli venne l'aria di chi è perennemente malato. Riempi la sua casa di cani, che non puliva e a cui non dava retta
L'aria in casa sua era diventata putrida. Lui forse se ne rendeva conto e non mi faceva entrare più dentro casa con la scusa che i cani mordevano
Finchè potei andai a trovarlo, gli parlavo sempre di Dio e del suo amore, di come aggrapparsi a Lui poteva dargli la forza di cambiare, ma non servi a nulla. Un giorno mi disse che a causa dei suoi vicini doveva traslocare. Non volevano un trans che si prostituiva come vicino di casa, né volevano sentire più il puzzo nauseabomndo che veniva da casa sua.
“ Non preoccuparti vado a stare in una cascina isolata con i miei cani. Là non darò fastidio a nessuno “. Era il suo modo di rassicurarmi e forse anche il modo per allontanarmi. Dopotutto io rappresentavo l'unica cosa che lo legava ancora alla sua vecchia vita, una vita che lentamente gli era scivolata tra le mani
 
Non lo vidi più. Non era il tempo di telefonini o internet. Non seppi mai dove fosse veramente andato. Enrico semplicemente sparì, scappò da ogni persona che lo conosceva prima, anche dalla mia
 
Qualche anno dopo Arturo, un nostro compagno di scuole medie mi chiese se avevo sentito quello che era successo ad Enrico. “ No non lo vedo da anni”, gli risposi.
“ Si è buttato sotto un treno. E' morto come suo padre “
 
Saperlo mi scioccò, era come se il cerchio della sua vita fosse stato tracciato da un ferro rovente, una sorta di girone dantesco o se preferite una sorta di destino cui unico denominatore cumune fosse la sofferenza.
Non volevo questo per Enrico, non lo avrei voluto per nessuno, ma assolutamente non l'avrei voluto per lui.
Avrei voluto abbracciarlo, avrei voluto dirgli che mi dispiaceva. Avrei voluto dirgli che per tutti la vita è un impervia parete da scalare, ma che alcuni lo fanno senza avere guanti alle mani e con i piedi nudi. Gli direi che tutti hanno un anima ma che alcuni alla nascita hanno già profonde cicatrici nella loro. Gli direi che Dio ha dato a tutti molte armi, ma che non tutti hanno la forza di usarle.
Gli direi che per qualcuno essere soli è solo una condizione temporanea mentre per altri è una triste evoluzione delle cose.
Mi spiace ammetterlo ma alcuni nascono dalle ceneri di destini avversi e per quanto uno possa cercare di cambiare la sua sorte, c'è una mano diabolica che afferra stretto alla caviglia e fa risprofondare in una coltre nera.
Enrico per un breve periodo della sua vita vide un cono di luce, ma per la maggior parte i suo giorni furono tenebre.
 
 

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