Scritto da © Hjeronimus - Dom, 04/05/2014 - 09:19
Un manipolo di affaristi senz’anima, senza scrupoli, né ciò che vogliamo sia coscienza morale, discernimento o sapere, fa conciliabolo e concepisce un piano “sublime”, l’attacco perfetto alle risorse del globo terrestre. Porre sul seggio più alto e più potente dello stesso- un imbecille. Non esporsi, non assumersi responsabilità. Lasciar fare tutto all’idiota e poi incassarne i dividendi. Sembra pazzesco? È già accaduto. Quando i satana del petrolio e delle armi trascinarono con la persuasione occulta dei media il consenso elettorale americano sulla maschera patetica di Bush.
Un tale evento illustra tutto il senso di un liberismo svincolato dalla responsabilità metafisica di un adeguato concetto di valore. Ossia di una fondazione interna alla conoscenza. di tale concetto. Fin lì, vale a dire, può spingersi la fame cinica del liberista nei confronti delle comuni risorse del pianeta.
Ora, siccome siamo sforniti di un apparato cognitivo di ricambio, non sappiamo dove bussare onde dotarcene. Dopo il tramonto della metafisica non c’è rimasto che questo estremo approdo borghese del liberismo, il quale tuttavia è una deriva, non una risoluzione. Così, l’anamnesi storica ci porta ad analogie poco rassicuranti. Sarà cioè poi vero che questo progresso, questa prospettiva coincida con l’avanzamento razionale dell’episteme? Sarà vero che a tanto sapere corrisponda proprio il tipo di evoluzione cui stiamo assistendo? È una evoluzione?
Qui siamo sull’orlo dell’apocalisse. Un sottile filino infranto (come per esempio nella Ucraina di questi giorni) potrebbe precipitarci in una catastrofe senza precedenti, né successori. E ci chiediamo avviliti se quel passaggio di potere dagli aristocratici ai borghesi non abbia infine segnato un tragico punto di non-ritorno sui libri di storia. Perché la vera metamorfosi del senso si è attuata, non nell’ambito dell’edificazione del diritto, il quale è sì subentrato nella dialettica politica, ma è rimasto qualcosa di virtuale, sempre sotto minaccia di venir calpestato e oppresso; bensì in quello delle fondamenta morali del diritto come della giustizia e, in generale, della convivenza civile. Così abbiamo avuto lo stesso una masnada di tiranno-sauri veleniferi che occupavano con la violenza (sia pure telecomandata) gli scranni del potere, ma in cambio siamo stati deprivati di persino una nuance di catarsi, di sublimazione, dovendoci sobbarcare le nostre pene quotidiane inzuppate nel nichilismo. Il nichilismo borghese, il cinismo liberista di chi spasima soltanto per il denaro, privo d’alcuna connotazione trascendentale- ossia, esente da valore. Per i potenti non-più-aristocratici di oggi l’unico valore corrente è la borsa-valori e tutto ciò che cade fuori dalla loro cieca fame di cose, non ha valore, non vale una mazza. Sostituendosi ai re-taumaturghi la borghesia ha tolto la taumaturgia, non la porca inclinazione a razziare e infierire dispoticamente sui sudditi. Ci abbiamo guadagnato che neanche un Dio può ormai consolarci, ancorché abbiamo ricevuto delle cose in cambio che certo non possono colmare quella falla.
E questo si rese subito evidente nella differenziazione dei costumi bellici. Le guerre del ‘700 somigliavano più a un balletto che a uno scontro fisico. Si vedevano grandi coreografie occupare spazi verdi e aperti, e, al suono di trombe e tamburi, come si addiceva, si dava avvio alle danze, in un tripudio di bandiere, colori e grida. I soldati indossavano casacche blu o rosse, come in un match calcistico, per distinguersi e si coprivano il capo con berretti bislacchi, o elmi infiorettati. Poi venne Napoleone e la guerra divenne borghese. Nessun “timor di Dio”, niente più scontri monumentali fra monarchi ingordi che avocavano a sé il favore del cielo. La guerra divenne un massacro e prese ad universalizzarsi. Arrivò infine la tecnologia e la guerra si spostò nelle città, le quali, sopravvissute ai tanti secoli di conflitti, dovettero sbriciolarsi sotto la spinta di ordigni piovuti dal cielo. Il ricordo del re-taumaturgo divenne grottesco e l’ultimo imperatore, Franz Josef, dovette ammetterlo lui stesso, mentre l’ombra di Hitler avanzava proprio sul suo territorio, promettendo una riscossa millenaria, cioè metafisica, in chiave grottesca, della nazione tedesca. Cioè, la nazione, laica, atea per definizione, doveva manifestarsi come il Dio di soltanto una modica porzione di umanità. Con l’aberrazione dentro di uno spietato dio-borghese che concepiva come merce le sue creature. Nacquero così i saponi di ossa e i lampadari di pelle umani. .
Così l’ultima impresa “metafisica” del genere umano si espanse nel mondo come una specie di burla sadica e sanguinaria, ove la tragedia si ribaltava in farsa, e la farsa degenerava in incubo.
Gli aristocratici erano amanti della raffinatezza e delle arti, anche quelli più bellicosi, per esempio Federico il grande di Prussia. I dittatori borghesi le aborrivano, arrivando a porre il divieto di scrivere, comporre o dipingere- per esempio a Shostakovich, a Salomov, a Nolde. Alcuni re, duchi e papi del passato amavano i filosofi e li ospitavano per comporre i celebri salottini in cui era pensato tutto ciò che poteva essere del mondo di allora, le Arcadie, le Accademie… i dittatori li mettevano semplicemente in catene, perché il pensiero, di per sé, gli era avverso e nemico. Certo, tanti pensatori finivano sul rogo, o in catene, ora come allora. Ma la soppressione sistematica del pensiero, sia in modo diretto, sotto dittatura, di destra o di sinistra è uguale, sia in modo indiretto, sotto occultamento mediatico del sapere, è una prerogativa di cui soltanto il nostro desertico panorama odierno può andar fiero. Con le carte di credito issate a vessillo del suo unico e “vero” Dio.
Con il che non si auspica certo una retrodatazione all’assolutismo, o un ritorno metafisico debole, come vorrebbe Santa Madre Chiesa. Osserviamo soltanto penosamente la strada senza uscite che abbiamo intrapreso, insieme alla impossibilità di rifondare una metafisica sulla base del sapere laico, dell’intelligenza. Mentre l’Essere vagola nelle solitudini oscure della “differenza ontologica”, del suo disperato solipsismo.
Un tale evento illustra tutto il senso di un liberismo svincolato dalla responsabilità metafisica di un adeguato concetto di valore. Ossia di una fondazione interna alla conoscenza. di tale concetto. Fin lì, vale a dire, può spingersi la fame cinica del liberista nei confronti delle comuni risorse del pianeta.
Ora, siccome siamo sforniti di un apparato cognitivo di ricambio, non sappiamo dove bussare onde dotarcene. Dopo il tramonto della metafisica non c’è rimasto che questo estremo approdo borghese del liberismo, il quale tuttavia è una deriva, non una risoluzione. Così, l’anamnesi storica ci porta ad analogie poco rassicuranti. Sarà cioè poi vero che questo progresso, questa prospettiva coincida con l’avanzamento razionale dell’episteme? Sarà vero che a tanto sapere corrisponda proprio il tipo di evoluzione cui stiamo assistendo? È una evoluzione?
Qui siamo sull’orlo dell’apocalisse. Un sottile filino infranto (come per esempio nella Ucraina di questi giorni) potrebbe precipitarci in una catastrofe senza precedenti, né successori. E ci chiediamo avviliti se quel passaggio di potere dagli aristocratici ai borghesi non abbia infine segnato un tragico punto di non-ritorno sui libri di storia. Perché la vera metamorfosi del senso si è attuata, non nell’ambito dell’edificazione del diritto, il quale è sì subentrato nella dialettica politica, ma è rimasto qualcosa di virtuale, sempre sotto minaccia di venir calpestato e oppresso; bensì in quello delle fondamenta morali del diritto come della giustizia e, in generale, della convivenza civile. Così abbiamo avuto lo stesso una masnada di tiranno-sauri veleniferi che occupavano con la violenza (sia pure telecomandata) gli scranni del potere, ma in cambio siamo stati deprivati di persino una nuance di catarsi, di sublimazione, dovendoci sobbarcare le nostre pene quotidiane inzuppate nel nichilismo. Il nichilismo borghese, il cinismo liberista di chi spasima soltanto per il denaro, privo d’alcuna connotazione trascendentale- ossia, esente da valore. Per i potenti non-più-aristocratici di oggi l’unico valore corrente è la borsa-valori e tutto ciò che cade fuori dalla loro cieca fame di cose, non ha valore, non vale una mazza. Sostituendosi ai re-taumaturghi la borghesia ha tolto la taumaturgia, non la porca inclinazione a razziare e infierire dispoticamente sui sudditi. Ci abbiamo guadagnato che neanche un Dio può ormai consolarci, ancorché abbiamo ricevuto delle cose in cambio che certo non possono colmare quella falla.
E questo si rese subito evidente nella differenziazione dei costumi bellici. Le guerre del ‘700 somigliavano più a un balletto che a uno scontro fisico. Si vedevano grandi coreografie occupare spazi verdi e aperti, e, al suono di trombe e tamburi, come si addiceva, si dava avvio alle danze, in un tripudio di bandiere, colori e grida. I soldati indossavano casacche blu o rosse, come in un match calcistico, per distinguersi e si coprivano il capo con berretti bislacchi, o elmi infiorettati. Poi venne Napoleone e la guerra divenne borghese. Nessun “timor di Dio”, niente più scontri monumentali fra monarchi ingordi che avocavano a sé il favore del cielo. La guerra divenne un massacro e prese ad universalizzarsi. Arrivò infine la tecnologia e la guerra si spostò nelle città, le quali, sopravvissute ai tanti secoli di conflitti, dovettero sbriciolarsi sotto la spinta di ordigni piovuti dal cielo. Il ricordo del re-taumaturgo divenne grottesco e l’ultimo imperatore, Franz Josef, dovette ammetterlo lui stesso, mentre l’ombra di Hitler avanzava proprio sul suo territorio, promettendo una riscossa millenaria, cioè metafisica, in chiave grottesca, della nazione tedesca. Cioè, la nazione, laica, atea per definizione, doveva manifestarsi come il Dio di soltanto una modica porzione di umanità. Con l’aberrazione dentro di uno spietato dio-borghese che concepiva come merce le sue creature. Nacquero così i saponi di ossa e i lampadari di pelle umani. .
Così l’ultima impresa “metafisica” del genere umano si espanse nel mondo come una specie di burla sadica e sanguinaria, ove la tragedia si ribaltava in farsa, e la farsa degenerava in incubo.
Gli aristocratici erano amanti della raffinatezza e delle arti, anche quelli più bellicosi, per esempio Federico il grande di Prussia. I dittatori borghesi le aborrivano, arrivando a porre il divieto di scrivere, comporre o dipingere- per esempio a Shostakovich, a Salomov, a Nolde. Alcuni re, duchi e papi del passato amavano i filosofi e li ospitavano per comporre i celebri salottini in cui era pensato tutto ciò che poteva essere del mondo di allora, le Arcadie, le Accademie… i dittatori li mettevano semplicemente in catene, perché il pensiero, di per sé, gli era avverso e nemico. Certo, tanti pensatori finivano sul rogo, o in catene, ora come allora. Ma la soppressione sistematica del pensiero, sia in modo diretto, sotto dittatura, di destra o di sinistra è uguale, sia in modo indiretto, sotto occultamento mediatico del sapere, è una prerogativa di cui soltanto il nostro desertico panorama odierno può andar fiero. Con le carte di credito issate a vessillo del suo unico e “vero” Dio.
Con il che non si auspica certo una retrodatazione all’assolutismo, o un ritorno metafisico debole, come vorrebbe Santa Madre Chiesa. Osserviamo soltanto penosamente la strada senza uscite che abbiamo intrapreso, insieme alla impossibilità di rifondare una metafisica sulla base del sapere laico, dell’intelligenza. Mentre l’Essere vagola nelle solitudini oscure della “differenza ontologica”, del suo disperato solipsismo.
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