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Il romanzo dell'arte occidentale. 3) Il Gotico. Prolusione

Quando nel 1.500, il Tasso con intonazione tragica, Ariosto con tono colto e beffardo, e il sarcastico Cervantes, si mettono, ognuno dal proprio angolo visuale, a decantare le gesta cavalleresche, sanno tutt’e tre di poter fare riferimento a un sentimento comune, a una specie di nostalgia imaginifica che si riconduce alla memoria di bei tempi antichi che sono tuttavia soltanto pensati. Si tratta di una memoria della memoria, un ricordo riferito al proprio ricordare, e non al soggetto ricordato. In altre parole, il referente di queste epiche reminiscenze è un pensare mitico, un pensare limbico che è più un sentire che un pensare, essendo riconducibile a categorie semi-inconsce del gusto, delle vocazioni, di tradizioni e desideri collettivi, e non al codice razionale della coscienza. Così si immaginano tali gesta come audaci scenografie, ove mirabolanti “machine” rotanti attaccano torri merlate, difese da mitici arcieri, Si immaginano cavalieri rutilanti su candidi destrieri, ricoperti da meravigliose armature tutte cesellate, che si battono contro crudeli saraceni per liberare, magari, tenere donzelle, rapite da costoro. Il paesaggio, alle spalle di questi combattimenti leggendari, è sempre come quelli dipinti dai fratelli De Limbourg- è cioè gotico, è sempre gotico.
Questa icona del Gotico si accompagnerà perennemente alle fantasie cavalleresche e ritroverà attraverso i secoli la sua legittima eco, ogni qual volta rispolverata e re-immaginata nuova di zecca.  Così, il Romanticismo vi rinverrà una sorta di ideale età dell’oro, i Pre-raffaeliti, i Simbolisti vi rintracceranno virtù eroiche e dottrine esoteriche; più avanti ancora il mito “gotico” penetrerà nella favola e, grazie alle forze congiunte della letteratura (da Hugo a Tolkien, a Dan Brown), della musica (Wagner, Orff) e del cinema (Welles, la Saga del “Signore degli anelli”, fino a cose come “Conan il barbaro”), continuerà a diffondersi fino ai giorni nostri. Questo è quanto sta al mito, ma il Gotico è altrove. L’unico film in cui sia percepibile la realtà in cui esso trovò il suo acme, è nientemeno che “L’armata Brancaleone”, che comunque era ambientato nell’Italia centro-meridionale, luogo in cui l’età gotica ebbe uno svolgimento “eccentrico”, per così dire, rispetto al resto d’Europa.  
Ci troviamo così ora davanti a questo archetipo del Gotico che non sapevamo di custodire negli archivi della memoria, un sapere di un non-sapere che ci raccorda da un lato a remote reminiscenze infantili (la Tavole Rotonda; le favole di Perrault, o dei Grimm; i castelli quasi-gotici della Loira, o quello neo-gotico di Neuschwanstein), e ad altrettanto lontane bagattelle, dall’altro, di mistica medioevale e di esoterismo, intricate in leggende e affabulazioni, il Graal, Rosenkreuz, i Templari. È lo stesso Bernardo di Chiaravalle a fornircene lo spunto nel suo intenso coinvolgimento morale e culturale coi Templari, ordine di cavalieri fondato da un suo parente e per i quali egli scrisse una Laude. Già, ma siamo su una falsa pista: quell’archetipo è una “variazione su tema” scritta successivamente alla scrittura della storia. Ciò che non sapevamo di sapere sull’età gotica e la sua arte, non lo sappiamo ancora, è un falso sapere. L’arte gotica non rappresenta un luminoso apice della mistica medioevale, come si può invece e facilmente inferire dal Romanico, anche se la nota dominante, che è quella della luce, ben si appaia al principio della rivelazione, ossia di Dio come luce che rivela la Alethèia, la verità. Uno dei fondamenti della Scolastica.
Il Gotico è anzitutto una tecnologia, un approdo tecnico, il cui rivestimento estetico è secondario rispetto all’assetto strutturale che gli consentirà una clamorosa fioritura in tutto l’Occidente. L’apparato esornativo che riveste il duomo gotico è una pelle sopra l’anima strutturale che lo ispira, ed è soltanto questo apparato, questa “pelle” a venire trasmessa alla nostra erronea percezione di poc’anzi, in quanto che è proprio lei, questa stessa “pelle” a far insorgere quel rapporto affabulatorio ai propri contenuti, lo stesso che viene trasfuso nella nostra imagérie. Ma è anche lui “fabula”, racconto naive per gli spettatori analfabeti del tempo. Un loro “cinema” granitico, tetragone, permanente, inteso a sbalordirli e a persuaderli della verità così “figurativamente” rivelata.
Ma così come le Crociate non sono mistiche imprese per l’eroica liberazione della Terra Santa, ma infine soltanto viaggi d’affari, le varie “Fabbriche” dei duomi europei si configurano come viaggi ambiziosi alla conquista del cielo, un arte verticale, babelica, che, come i titani prometeici, ambisce soltanto volare in alto, equiparandosi agli dèi. E in ciò mostra tuttavia un avvisaglia di umanesimo, proiettando in terra e sugli uomini un aura di valore che precedentemente si collocava soltanto in cielo. E così, laddove le cattedrale romanica si presentava come un oasi e un limbo edenico, con una umile e pio ideale di introduzione alla vita celeste, il duomo gotico punta in cielo, come un missile, e trascina in giù gli dèi, in realtà, innalzando l’umano al loro livello. Il che ci viene bene illustrato dal verismo delle loro rappresentazioni: seppure “allungate”, come è consono ad un arte verticale, le figure dal sorriso angelico che decorano i portali gotici risultano ben più terrene delle terribili e sublimi astrazioni espressioniste, per esempio del maestro Gislebertus nella romanica cattedrale  di Autun. Il loro stesso sorriso è quello di un gaudio umano dei beni celesti, non di quell’altrove dorato e ultraterreno dei romanici. È l’alba dell’Umanesimo.
Questa lunga prolusione serve a sgomberare il campo da un pregiudizio occulto che grava ancora, non ostante il talento dei singoli, sulle opere di registi e scrittori ambientate in un passato… mai passato. Mai esistito. Mai visto. Lo ripeto, si trattava allora di un mondo alla Brancaleone e non alla Lancelot. I primi monarchi merovingi, analfabeti e pressoché miserabili, non erano meno straccioni dei loro sudditi e le più tarde corti, che so, di Fiandra e di Borgogna erano si permeate di cultura cortese e quindi cavalleresca, ed erano magari sontuose e raffinate, ma ciò non toglie che, per esempio, cose come la forchetta, o la toilette, non esistevano. In uno dei più splendidi castelli di allora, il Karlstein presso Praga, ci è stato illustrato come i bisognini di “lor signorie” venivano espletati in camera da letto e quindi rovesciati semplicemente fuori dalla finestra… non c’erano corridoi fra le stanze: dei bambini che stessero giocando, attraversavano liberamente “talami” poco segreti, ove tutto si svolgeva alla luce del sole (bisognini compresi). Ancora a Versailles nel ‘600 non c’erano corridoi…
Era un mondo ingenuo e superstizioso, ove lentamente la luce della ragione si faceva strada a fatica, lasciando tuttavia dietro di sé di quando in quando monumenti  straordinari e indimenticabili.
 

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