Scritto da © Hjeronimus - Gio, 08/06/2017 - 12:09
Ho letto “La panne”, un racconto di Friedrich Dürrenmatt, degli ’80 del secolo scorso. Si tratta di una metafora sulle illusioni coeve circa le promesse solo venali del consumismo, allora all’apice. Un arrampicatore sociale, rappresentante di commercio, capita casualmente in una villa di campagna svizzera. Là dentro quattro vecchi magistrati in pensione “giocano” al processo, mettendo sotto giudizio persone normali, con fedina penale immacolata. Il commerciante sta al gioco e viene così in luce la sua vita scialba, costruita su piccole soperchierie che lo fanno avanzare in carriera. Il che costa tra l’altro un infarto al suo capo. Di tale morte, nel gioco, viene incriminato l’imputato che poi, tra un bicchiere e un manicaretto, viene allegramente condannato alla pena capitale. Lo scherzo finisce lì, ma il rappresentante, restato solo, esegue la sentenza e si impicca.
Il simbolismo sottinteso sta tutto nel senso di colpa inconscio che la way of life contemporanea implicita nel modello autodistruttivo del successo ad ogni costo. Quando un soggetto semplice ricama un pensiero su tale status, non regge la responsabilità e preferisce eseguire da sé la propria sentenza di morte. Ma appunto, del secolo scorso. L’apice socio-economico dell’occidente di fine secolo si è spento l’11 settembre del 2001 ed è definitivamente tramontato con la crisi del 2008. Oggi passavo davanti a un meccanico che più di 20 anni fa mi aveva aggiustato qualcosa. Era bianco, vicino alla pensione. Era uno di quelli che allora ce l’aveva fatta. E guardando all’oggi, è più o meno lo stesso: quelli che ce l’hanno fatta sono ancora soltanto quelli di prima. Oggi, nessuno più “ce l’ha fatta”. Né vuole. L’uomo medio, semplice e magari lavoratore, non si arrampica da nessuna parte più, cerca solo un angolino di mondo ove, se possibile, sopravvivere, anche senza troppe comodità. E sempre con l’auspicio di non incrociare il pazzoide di turno, munito di cintura esplosiva … Cara Luna, tale è lo stato mortale, oggidì. Né ci rammarica l’estinzione di quel miraggio oramai tardo e demodé di una arrampicata bramosa e foriera di rimorsi sulle vette del benessere.
Dürrenmatt è un narratore eccellente e il tessuto favoloso in cui avvolge il lettore è senz’altro irretente e persuasivo, di modo che non puoi permetterti di mollarlo gabbando il finale.
Il simbolismo sottinteso sta tutto nel senso di colpa inconscio che la way of life contemporanea implicita nel modello autodistruttivo del successo ad ogni costo. Quando un soggetto semplice ricama un pensiero su tale status, non regge la responsabilità e preferisce eseguire da sé la propria sentenza di morte. Ma appunto, del secolo scorso. L’apice socio-economico dell’occidente di fine secolo si è spento l’11 settembre del 2001 ed è definitivamente tramontato con la crisi del 2008. Oggi passavo davanti a un meccanico che più di 20 anni fa mi aveva aggiustato qualcosa. Era bianco, vicino alla pensione. Era uno di quelli che allora ce l’aveva fatta. E guardando all’oggi, è più o meno lo stesso: quelli che ce l’hanno fatta sono ancora soltanto quelli di prima. Oggi, nessuno più “ce l’ha fatta”. Né vuole. L’uomo medio, semplice e magari lavoratore, non si arrampica da nessuna parte più, cerca solo un angolino di mondo ove, se possibile, sopravvivere, anche senza troppe comodità. E sempre con l’auspicio di non incrociare il pazzoide di turno, munito di cintura esplosiva … Cara Luna, tale è lo stato mortale, oggidì. Né ci rammarica l’estinzione di quel miraggio oramai tardo e demodé di una arrampicata bramosa e foriera di rimorsi sulle vette del benessere.
Dürrenmatt è un narratore eccellente e il tessuto favoloso in cui avvolge il lettore è senz’altro irretente e persuasivo, di modo che non puoi permetterti di mollarlo gabbando il finale.
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