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Il tempo del ritorno © Luca Nicastro

Conducimi

lungo il fiume del pianto

dell'uomo di oggi,

oltre le gelide sponde

ove filari d'alberi spogli

fan cornice alla sera,

verso i prati infiniti

che dipinsi con gli occhi

imbevuti di sole

del bambino di ieri.

 

Ritroverò

i miei sorrisi d'agosto

stesi ad asciugare

dopo allegri acquazzoni

durante le vacanze

nel paese del mio cuore.

E le farfalle che salvai

da crudeli ragnatele

o fatali pozze d'acqua

per poterle poi guardare,

libere ancora,

involarsi nel vento 

dal mio piccolo palmo di mano.

 

Ritroverò

i fiori più belli e più rossi

del soave giardino dei giochi

dove deposi il mio animo grato

sopra altari di foglie d'autunno

ad immoto presente imbastito

ad eterna memoria donato

per mai scordare 

la voce del mare

che nelle notti d'inverno

il mio placido sonno cullava.

 

Ritroverò 

tutti i miei sogni d'allora

ancora integri e puri

come marmo d'antica chiesa,

indomiti e impetuosi

come il vento dell'Utopia,

mentre la luce di ieri

inebrierà il mio pallido volto

e le mani di mia madre

mi guideranno ancora

verso le giuste vie

che si apriranno a me

su vallate fulgenti

ricolme d'alberi immensi

dai dorati frutti di miele.

 

E riavrò così

gli umili sogni

che mi hanno scippato

con fetide grinfie,

col ghigno negli occhi,

e che ora giacciono

in un nido di ghiaccio

nell'attesa del tempo

del mio ritorno.

 

E le mie mani

carezzeranno i cani soli

come un tempo, generose,

ad essi donavano

tutto l'amore

che mai conobbero

così intenso e fremente

nella loro grama esistenza.

 

Risentirò, alfine,

l'arcano profumo

della quiete del meriggio

che cantava nel mio cuore

in perpetua armonia,

e rivedrò

gli occhi d'un rosso gattino

in un cortile assolato di maggio

e dietro le sbarre

di quel grigio cancello

il silenzioso amico cane,

che salutò con un guaito

la mia lacrima tenue

mentre mesto partivo

per lontano.

 

Ritroverò, incredulo,

il me stesso più vero:

colui che crede ancora

alle favole dell'alba,

colui che si sorprende

ad ascoltarsi ridere

senza timore

di essere ridicolo,

di sembrare stupido

o piccolo ed inutile.

Come quando

un improvviso temporale

ci costringeva a correre

verso treni che non partono

verso giorni che non tornano.

 

 

E sarà così che io,

stanco ma sereno,

sfiorerò con dita tremule

i petali del divenire

e quando la serà scenderà

sui miei occhi ancora accesi,

baluginanti

nel buio del mondo,

chiamerò per nome

il mio rimpianto

e quel nome

sarà il mio.

 

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