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Il venditore di destini

Treno in corsa - Ivo Pannaggi
Stavamo parlando da oltre mezz’ora quando il treno arrivò alla stazione. Guardai dal finestrino per capire dov’ero, ma il nome scritto sui cartelli non mi diceva niente.
Chiesi al mio interlocutore:
“Dove siamo?”
“Ugrum, credo … Sì, è proprio Ugrum. La prossima fermata è la mia”
Poi, indovinando la domanda che avevo in mente:
“Scendo a Palnoc, io abito là”
Ero confuso e si vedeva. Lui mosse il busto per avvicinarsi a me e poi mi chiese:
“E lei di dov’è?”
“Torino, sono di Torino” risposi, come colto di sorpresa. E mentre ripetevo il nome della città dov’ero nato e dove vivevo mi sembrò che questi non avesse alcun senso, che non indicasse alcunché di preciso, come se di colpo tutto quello che quel nome significava per me, le emozioni, i ricordi, la storia, le persone che lì conoscevo, tutto fosse stato cancellato dalla mia mente.
Lui aggrottò le sopracciglia:
“Torino? Mai sentito. Dov’è questo Torino?”
“Come? Non ha … Voglio dire, come fa a non conoscere Torino?”
Gli occhi del mio occasionale compagno di viaggio si fecero più attenti. Iniziò a scrutarmi con maggiore attenzione, come se fino a quel momento non si fosse reso conto di chi aveva davanti.
“E’ diretto là?”
Annuii lievemente.
“Ma non credo che questo treno vada al suo Torino. Dopo Palnoc ferma solo alla Splendente e basta”
Mi studiò ancora per qualche istante.
“A meno che lei non abbia una coincidenza, laggiù”
Cominciavo a scaldarmi. Quell’uomo mi parlava di qualcosa che non riuscivo a comprendere e questo mi metteva in difficoltà. Io odiavo trovarmi in difficoltà, per cui reagii in modo sgarbato.
“Ma quale coincidenza! Non vorrà farmi credere che questo non è l’Eurostar Venezia – Torino!”
I suoi occhi si strinsero fino a diventare due fessure. Mi stava letteralmente sezionando.
“E la smetta di guardarmi in quel modo! Il suo modo di fare mi ha proprio stufato!”
Girai lo sguardo intorno a me, furioso. Volevo trovare un controllore per avere conferme su quel maledetto treno, ma non se ne vedevano. Guardai fuori. Al di la del vetro correva una campagna semideserta. Cercai qualche scorcio familiare per rassicurarmi, ma inutilmente. Non che ciò che vedevo mi fosse totalmente estraneo. In realtà poteva anche essere un tratto di campagna dalle parti di Vercelli, ma non c’era nulla che potesse dirmelo con certezza. Ebbi un brivido.
Intanto il mio interlocutore cercava di rimediare a quella che avevo evidentemente preso come una scortesia.
“Mi scusi, non volevo essere invadente. E’ una mia deformazione professionale. Al momento sono uno studioso di antropotipia e lei ha suscitato la mia curiosità, con quei nomi così curiosi”
Ero veramente agitato, adesso. Il cuore mi batteva forte, pompando con forza il sangue nelle arterie. Avevo il cervello annebbiato e non riuscivo a comportarmi in maniera logica.
Per recuperare un po’ di sangue freddo cercai di rifare mentalmente l’itinerario di quella giornata. Avevo dormito a Brescia e la mattinata l’avevo passata alla Texco, una riunione dietro l’altra fino all’ora di pranzo. Poi dovevo aver preso il treno per Torino, come al solito.
“La vedo turbato, è sicuro di star bene?”
No che non sto bene, cacchio! Perché non mi ricordo di aver preso il treno? E neppure quando mi sono seduto davanti a questo tizio? O è lui che è arrivato dopo di me? Abbiamo cominciato a parlare, sì questo me lo ricordo.
Lo guardai smarrito.
“Ma dove siamo? Lei mi parla di città dai nomi strani e non conosce Torino. Come si fa a essere in Italia e non conoscere Torino?”
“Mi spiace immensamente, ma non ho mai sentito nominare né Torino né Italia. Evidentemente lei è un poco confuso. Le dirò che qui siamo nel paese di Valean e che fra pochi minuti arriveremo a Palnoc, la mia città. Questo la aiuta?”
Gli afferrai un braccio.
“Non mi lasci! Non scenda, la prego!”
Lui era sorpreso, ma non mollai la presa, anzi cominciai a scuoterlo.
“Non mi può lasciare! Io … io non conosco questi posti che lei dice. Facciamo così, sì … sì … Io scendo con lei, ecco”
 

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