Scritto da © Maurice Ravel - Ven, 24/06/2011 - 21:18
Ci sono certi giorni in cui ti guardi allo specchio, ma non ti vedi.
Certe notti, che si potrebbero definire “brave”, ti rendono disinvolto dinanzi agli occhi della gente e ai tuoi stessi occhi. Ma ciò non vale per me. Non è mai valsa per me.
Ci sono dei ragazzi.
Uno di loro è omosessuale e indossa una camicetta di cachemire bianca, ondeggiando cerca di trattenersi in vista con quegli orribili capelli rossicci. C’è anche un Kawai nella stanza, chissà perché non l’ho mai gradito. Una ragazza vi si diletta strimpellando il primo movimento della Tempesta di Beethoven. Altri sono alla ricerca del Paradiso artificiale. Chissà se mai lo troveranno. E se lo trovassero, sarebbero felici?
Non so perché sono venuto in questo posto, una casa sudicia a mio parere, ma cerco qualcosa. Con i miei occhi, color grano, scruto: ognuna di queste persone fa qualcosa di diverso e di riluttante aggiungerei.
Una coppia si dilegua nel piano superiore, ridendo chiassosamente. La ragazza che stava strimpellando sul Kawai cede il suo posto a un ragazzo dai capelli ricci e neri che, dopo aver trovato il suo Paradiso artificiale, comincia a improvvisare. Ma sono contrariato da come si dimeni furiosamente sulla testiera.
Non so perché io stia cercando qualcosa che non so che cosa sia. Ma mi muovo tra la gente ed è come se loro non mi vedessero. Qui c’è rumore. Rumore di persone che parlando gridando. Di piccini che hanno fretta di crescere. Di ragazze che per farsi notare sarebbero disposte a tutto, anche vendere se stesse. Sono qui, per la prima volta dopo una vita interamente dedicata allo studio, e cerco disperatamente qualcosa.
Riempio velocemente un calice di vino rosso. Bagno le mie labbra di esso, ed è come fosse sangue. Rabbrividisco al pensiero. Ho bisogno di uscire via da qui.
Prendo le chiavi della macchina. Entro. Metto in moto. E come sottofondo alla mia follia naturalmente vi è Gaspard de la nuit: Trois poèmes pour piano d'après Aloysius Bertrand.
Ondine.
Dove vado? Non tornerò certamente indietro. Non sono mai tornato sui miei passi.
Arrau mi mette i brividi. Ravel graffia il mio cuore, facendolo sanguinare, per poi leccare il sangue che ne gronda. E nel dolore trovo il piacere. Veloce. Sempre più veloce.
Devo trovare ciò che cerco.
Forse me stesso?
Io posso essere l’introverso e l’estroverso, secondo l’occasione che mi si prospetta. Posso essere ciò ma anche ben altro.
Le Gibet. "All'orizzonte, presso le mura di una città, si ode il rintocco di una campana, mentre il sole calante arrossa il corpo di un impiccato".
E rifuggo il passato.
E sento gli occhi riempirsi di lacrime, ma rifuggo anch’esse, come ho sempre fatto.
Le Gibet solitamente spaventa l’animo di chi ascolta. Mentre io mi sento molto rilassato e le mie membra si distendono.
Rallento.
E trovo me stesso in quel si bemolle ribattuto.
Adesso sono solo. Ho lasciato tutto: casa, famiglia. Sono solo. Ma ho Lui. E quel si bemolle che dipinge un universo idillico.
Sempre più veloce e penso che potrei schiantarmi e morire.
Sempre più veloce.
E ricordo quell’inferno da me chiamato Casa.
Scarbo. “ ed il folletto notturno, inquieto e dispettoso, appare e scompare guizzando di continuo e prendendosi gioco dello spettatore con burle e sberleffi.”
Lo sento sussurrarmi: “ non rallentare. Prima o poi morire! Non puoi cambiare il tuo destino, nessuno può, neanche tu. Oggi? Domani? Chi lo sa! Muahah!”
E il mio caro folletto si dilegua nell’immensa oscurità. Ed io con lui.
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