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La Strega Cattiva

Capii di avere sposato una strega pochi anni dopo il nostro reciproco inserimento di fedi nei rispettivi anulari orizzontali. Forse infilarla in un bel medio puntato in verticale, sarebbe stato un migliore segnale premonitore.

I segnali furono evidenti a breve, rigidità, sguardo torvo e cupo, odori di inquisizione aleggiavano per le stanze della casa.
CHE CAZZO HAI DA INDAGARE, STREGA?
Capii di avere sposato una Strega Cattiva a seguito del fatto che sono a narrare, destreggiandomi tra pulsioni malate, lacrime e mani che tremano dal terrore di dover convivere con questo pacco regalo che forse non meritavo. Convivere, certo, perché io so solo vivere, non sono capace a morire.
Le pulsioni dicevo. Si. Le pulsioni, le mani sudate, il cuore che sbatte come volesse uscire a prendere aria, la voglia di pensare ed immaginare situazioni, creare il contesto, viverle, farsi di cibo sudore e di tutto ciò che il luogo comune ed il buon senso indica di non fare spesso. La Strega Cattiva era l’inviluppo del buonsenso, dei luoghi comuni, del corretto ed irreprensibile. Un trionfo di sinusoidi che scopa con una linea retta (appuntita da ambo i lati), finisce per pungersi e farsi del male.
Troppo male mi stavo facendo, era una vita sbagliata, un vivere all’interno di un solco ormai troppo profondo per poterne venire fuori, e in uno dei respiri rantolanti che riuscivo a strappare alle giornate che ormai sapevano solo di legno e corteccia, mi venne alla gola la voglia di assaporare un frutto saporito, che sapesse di miele, un frutto con il quale potersi sporcare, ungere, urlare, e poi sputare schiacciare sotto i piedi, alzare la testa alle nuvole imperiose  e riderne insieme. Riderne solo per il gusto di ridere e metterlo nel culo alle plumbee nuvole, che seriose minacciano di inondarti di pioggia fatta dalla merda quotidiana.
Il frutto che volevo assaporare si chiamava Mascia Rami. In fabbrica era chiamata da tutti Mascia la Bagascia, ovvio.
Troppo facile.
Non era la bagascia che si diceva, era molto fumo all’esterno, ma capii che all’interno era la giusta quantità di arrosto che avrebbe fatto la felicità del palato di chiunque (e non solo del palato). Giri di parole, sguardi, risate, colazioni e nonostante il mio apparente aspetto di uomo trasparente, insignificante, fallito sognatore, nonostante tutto questo lei probabilmente vide in me un barlume di fiamma sulla quale forse valeva la pena di soffiare. Un uomo trasparente, con ambizioni da uomo traspirante.
Decidemmo di comune accordo di provare a soffiarla quella fiammella, nella settimana in cui  minori impegni lavorativi avrebbero permesso di svicolare nel magazzino ricambi, possibilmente di venerdì, giorno nel quale il magazziniere era solito fare mezza giornata seria e per il resto darsi alla macchia tra macchinette del caffè e sigarette a profusione.
Arrivò quel venerdì mattina. Aprii gli occhi sognando l’arrivo del pomeriggio, ed invece di un sogno mi si fece davanti il viso torvo della Strega Cattiva. Sobbalzai, stropicciandomi gli occhi, spaventato dalla visione. Lei mi sfiorò il viso e mani giunte, come bevesse ad una fontana, mi salutò.
«Che fai?» le dissi.
«Bevo tesoro, bevo di te.» e uscì per andare dalla sorella (Una Strega Docile).
“Bevi da sta cippa de obelisco, Strega!” pensai sorridendo e gongolando.
Poi smisi quasi immediatamente di gongolare e sorridere. Che minchia avevo da sorridere?
Dovevo alzarmi di corsa ed andare in fabbrica, mi aspettava l’ultima giornata della settimana, eravamo indietro con la produzione e i capi premevano sul personale, e poi… e poi. Poi nulla.
Nulla. Ero stato svuotato.
Non avevo nulla dentro, ero un uomo esternamente, con pregi e difetti, rientranze ed elementi estrusi anche di pregio. Dentro non c’era più nulla.
Me ne accorsi quando Mascia mi incrociò per il corridoio dei bagni, aveva un rossetto sconvolgente, capelli curati e unghie da farsi lacerare. Mi ritornò alla mente il motivo di quel veloce restyling della Mascia, e provai una fitta indescrivibile appena sotto la base del cuore. Era una bolla di roba nera che mi si stava aprendo nella pancia, robaccia che mangiava ogni piccola fibrillazione il mio corpo tentasse di innescare, mangiava e lasciava calma piatta, del maschio che ero, non rimaneva nulla.
Era rimasta sola forza lavoro, e forza marito. No. Era rimasto pure un “Vaffanculo” della Mascia, che inglobai senza sussultare più di tanto.
La forza lavoro è semplice da spiegare. Lavoravo come un disgraziato
La forza marito era invece più subdola. La Strega Cattiva mi sfiorava, riapriva le mani a conca e mi ridava la parte di uomo che serviva a sfamare la bramosia di sesso casto da manuale, per poi risottrarmela nell’istante dopo della mia triste fase di spurgo.
Al quinto mese di uomo lavoro, uomo marito, uomo svuotato e fallito, al quinto mese, la dovetti uccidere.
Uccidere una donna, una Strega, o addirittura una Strega Cattiva, era stato semplice come semplice sarebbe stato ritornare alla mia vita normale, una vita nella quale sapevo che mi sarebbe stato restituito il succo di uomo che mi mancava, quello che mi avrebbe fatto riconquistare la voglia di scopare. Scoparmi la Mascia, nel caso specifico.
Ma avevo ucciso un Strega, e me ne resi conto nei giorni che seguirono. Mascia mi continuava ad essere indifferente, pur avendo io nel sangue un fervore e una smania che descriverlo a parole si rischierebbe di insozzare la pagina. Infine, poi, ho capito cosa quella troia mi ha restituito prima di morire. Che tipo di essenza.
Finisco di scrivere velocemente questa specie di memoria, perché a minuti arrivano i due africani molto neri e nolto dotati,  che ho conosciuto due giorni fa. Vengono a farmi sesso in modi e con cose di ogni tipo.
Questo è il regalo postumo della mia odiata Strega, farmi diventare un povero perverso sadico omosessuale.
Ci dovrò convivere, perché io sono codardo, e so solo vivere.
 
FINE
 

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