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Coincidenze.

Nello scrutare gli occhi, il naso, la bocca, l'uomo seguiva con i gesti lo sguardo, disegnava il ricordo.
Non riconosceva... o non ricordava?
Pretendeva forse l'evidenza, il timore dell'imbroglio, la certezza dell'analisi.
Le mani e lo sguardo si intrecciavano, non trovavano sintonia, doveva trovare la strada, fare la sua scelta, liberarsi della paura dell'errore, dimenticare la convenienza.
Il pensiero che lo sguardo fosse privilegiato, privilegiava le mani, l'incertezza del loro movimento anche, per questo la vista avrebbe vinto.
Sorrideva amaro l'uomo a questa ultima considerazione, le mani che si ribellano alla vista, ma per vedere un ricordo, che vista serve.
Dovevano muoversi all'unisono, seguire lo stesso filo, senza obbligo o comando, il ricordo era intatto, ma il richiamarlo davanti all'evidenza lo faceva diventare vago, il presente era fatto di senso, il senso era fatto di ricordo, di nuovo vago.
E lei, dov'era lei, con il suo viso, con le sue mani, coi suoi ricordi?
Erano insieme?
Lei seguiva il presente, andava verso il futuro, il ricordo lo usava per ordinare i gesti.
La perfezione degli intenti era un miracolo di coincidenze, il tempo un percorso, strumenti le mani, gli sguardi, i pensieri.
Quello che è rimasto il frutto.

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