Scritto da © maria teresa morry - Lun, 12/11/2012 - 23:44
Già nel 1500, Pietro Aretino, che morì infatti a Venezia nel 1556, ebbe a dire una frase emblematica: "I veneziani vuole robbe sode e non petrarchescherìe", come a dire che i Veneziani vogliono donne vivaci e di sostanza, alludendo forse, di contrasto, alla immagine irreale e mitizzata della donna, cantata da poeti suoi corregionali.In effetti la donna veneziana era molto presente nella vita sociale, di cui quella famigliare era solo un aspetto. Mi riferisco certamente alle donne del patriziato, le quali accedevano spesso ad alti livelli di cultura. Elena Lucrezia Cornaro Piscopia è stata la prima donna al mondo a laurearsi, in filosofia, nel 1600, presso l'illustre università di Padova; un' insegna in pietra, tutt'oggi affissa in prossimità del Palazzo Comunale, ne ricorda l'evento.
Sempre nel secolo precedente, spicca quale unica figura di rilievo, la cortigiana detta "honesta" Veronica Franco, letterata, che ha lasciato una bella collezione di sonetti e che viene tramandata come donna colta, molto ricercata anche per la sua intelligenza. Oltre che per prestazioni costosissime.
Ma anche alle donne appartenenenti a quella che potremmo definire oggi "la borghesia", ossia alle mogli dei mercanti e dei " banchieri" era attribuito un ruolo sociale rilevante soprattutto nell'organizzare incontri e feste (c'era l'usanza diffusa nel '700 di organizzare serate di gioco da tavolo e salotti di conversazione, nelle abitazioni private) durante le quali uomini e donne scambiavano liberamente e con pari considerazione, le proprie opinioni. Le commedie goldoniane sono un esempio di questo vivere sociale di scambio ( che culminava nel periodo di Carnevale con l'apertura di tutti i teatri della città) e di contrapposizione tra uomini e donne,anche se il Goldoni parteggia apertamente per l'acume e il senso di ironia delle donne della sua città. Non a caso egli scriverà la commedia "Le morbinose", ossia le briose, le donne di buon umore.
Ritornando ancora al 1500-1600, le donne appaiono a Venezia in pubblici spettacoli da strada, come giocoliere e come toreri. Infatti abbigliate in uno strano costume assai scollato e con una parte delle gonne rialzate, esse, assieme ai maschi, conducono tori e li aizzano nel grande campo San Polo, come dimostra una incisione del Franco risalente al 1591. Per non dire poi del fatto che le donne, a Venezia, sono avvezze alla voga di barche chiamate "mascarète", molto leggere e maneggevoli. Attività di certo imposta dalla natura dei luoghi, per spostarsi da un' isola all'altra, e che è ancora oggi normalmente praticata.
Non si creda tuttavia, sempre con riferimento al 1500, che le classi sociali potessero facilmente confondersi.Venezia resterà sempre una oligarchia di patrizi, fino alla sua fine. ll figlio del senatore Andrea Morosini, nel 1500, venne condannato a morte per aver baciato in un pubblico una popolana...
Egualmente le donne erano molto presenti nella vita conventuale e non certo per spiccata vocazione. Venezia e il suo Patriarcato hanno sempre tenuto legami molto particolari con la Chiesa Romana, dalla quale - come forse avrò modo di dire in un altro contesto - essa cercò sempre di mantenersi autonoma da qualsivoglia ingerenza nella sua vita civile. Ma nei conventi, come dimostrano quadri dell'epoca e le riproduzioni del Longhi (esposte in Ca' Rezzonico) , vi venivano ristrette le figlie dei nobili , non solo a fini educativi ma soprattutto per evitare che interferissero nelle eredità in favore dei fratelli maschi. Non essendo queste fanciulle interessante alla vita religiosa, presto i parlatoi dei conventi si trasformarono in sorte di salotti di conversazione, di tal chè non pochi vennero chiusi aleggiando sugli stessi anche una dubbia fama.
Chiudo questa mia modesta esposizione, ricordando come l'immagine ufficiale di Venezia, sin dal XIV secolo, sia quella di una donna che incarna la Giustizia. Con una corona in capo, una spada ritta alla mano sinistra e una bilancia con i piatti in equibrio, alla destra. Due leoni marciani ai fianchi. Vedasi tela di Jacobello del Fiore conservata all'Accademia. Con il tempo questa immagine rigorosa di Venezia-Giustizia, si addolcisce e nel 1700, il Tiepolo la rappresenta come una dama suntuosamente abbigliata, con fili di pele al collo e acconciatura settecentesca dei capelli,la quale dama riceve doni da Nettuno ( tela del Tiepolo in Palazzo Ducale). Anche da questa iconografia si avverte l' incalzare dei tempi e l'avvio del declino veneziano che vedrà contrapporre alla fine della Serenissima il mantenimento, fino allo stremo, di un inusitato sfarzo.
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