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Giacinta

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Il temporale aveva brontolato  sin dalla tarda sera; era arrivato dalla parte del Garda, come sempre, da est, carico di bile.Nello scuro della  notte le nuvole  non si potevano distinguere, se non per le saette che ne illuminano i contorni. Giacinta non chiudeva mai le imposte della sua camera da letto, così essa intravedeva, attraverso il tendaggio  sottile, i lampi che abbagliavano la stanza, mostrando gli spigoli dei  mobili lucidi, d’altri tempi.
Improvvisamente  cadde  un fulmine  con un frastuono secco. Giacinta sentì i canarini , che teneva in cucina,  agitarsi dentro la gabbia. Sbattevano le ali contro le  barrette di alluminio. Pensò di alzarsi per rassicurarli, ma l’idea di uscire dal letto la  fece desistere.
Attese ancora  qualche minuto e i canarini si  acquietarono. Seguirono attimi di sospensione, poi ecco  lo scroscio impetuoso, una caduta d’acqua  verticale, senza un   filo di vento e cominciò la pioggia  per l’intera notte. La primavera calda portava questi cambiamenti  repentini. La giornata  era stata molto afosa, ma ora sembrava che fuori casa si presentasse l’autunno.
Giacinta si chiuse tutta sotto le lenzuola, raccolse le ginocchia contro di sé e rimase ad ascoltare il rovistare della pioggia, il martellare delle gocce contro la grondaia e l’abbondanza d’acqua che in men che non si dica iniziò a sfogare dal vecchio tubo, per finire in un  bidone addossato all’ angolo dell’edificio. Non aveva paura del maltempo, si sentiva al sicuro nella  casa dove abitava sola, dopo che via via, prima i fratelli poi i genitori, se n’erano andati sia per avventura sia per mala sorte.
“ Devi avere una vita  tua “,  le vennero alla mente le parole di sua madre, quando  anni addietro la rimproverava  di starsene troppo in casa, di non avere amiche.
“ Siamo preoccupati per te! “  le  sussurrava il ricordo del padre all’orecchio. Sentiva la voce di lui come   se fosse stato davvero accanto,  chino vicino al guanciale.
Nella vita di Giacinta  tutti erano convinti che ella avesse sacrificato l’esistenza per accudire i genitori, che avesse  consunto la propria giovinezza dietro ai loro anni. Per molti era rimasto un mistero come mai quella ragazza alta, dal collo sottile e con  bei capelli  ramati, non avesse  trovato un fidanzato, un marito. Perché nella mente  dei più, lei era una ragazza adatta ad un onest’uomo,  destinata ad un uomo per bene. Giacinta era stata farmacista, aveva lavorato a lungo nella  farmacia della  cittadina, quella sita in piazza, vicino allo studio notarile. Un palazzotto d’epoca un poco pretenzioso.
“ Devi avere una vita tua…siamo preoccupati per te….”
 
“ Non è questo il momento  adatto, Giacinta – le aveva risposto il segretario del  notaio, un giovane che vestiva sempre inappuntabile ( forse le cravatte di tinta un poco spenta…unico  piccolo neo).
“ E quando posso parlarti, allora? – aveva chiesto lei,  fissandolo con i suoi occhi nocciola, non capendo perché mai Sergio - il segretario si chiamava Sergio -  volesse rinviare il colloquio.
“ Non mi posso interessare di questa cosa, Giacinta- ripetè il giovane, seccato. E nel dire questo battè i palmi aperti delle mani  contro la scrivania. Le penne tintinnarono  nel portapenne argentato.
“ Questa cosa, dici?  - rispose Giacinta con un sussulto della voce – ma aspetto  un bambino Sergio…non è una cosa, come dici tu…”
Sergio la guardò in modo interrogativo, le trasmetteva con gli occhi tutta la sua impotenza, la sua negativa meraviglia.
“ Non  sono in grado di affrontare questa situazione, come te lo  devo dire?” e già s’era alzato, perché il notaio lo chiamava  dal suo studio. “ Arrivo  subito con la pratica, dottore!”, rispondeva il giovane, allungando il collo verso il corridoio che dava accesso alla stanza del suo principale.
“ Per favore Giacinta, adesso va via”. Le parlò dolcemente. Anzi lei si ricordava che l’aveva sostenuta all’avambraccio, accompagnandola alla porta.
 
“ Devi avere una vita tua….siamo preoccupati per te”.
 
Quella  “vita sua” , era iniziata con Sergio, quand’ella era giovane di oltre trent’anni prima, in una storia d’amore un poco brutale, che ora  Giacinta non  vedeva affatto come amore, ma solo come una storia di corpi e di desiderio, nel quale essa stessa s’era trasformata, al punto da non capire, non vedere come  Sergio fosse soltanto materialmente attratto, egoista ed affamato di lei. Che cosa avessero  davvero vissuto  assieme , lei lo capì soltanto quando s’accorse d’essere incinta. Ricordava  che s’era osservata la piccola pancia , chinando la testa su di essa e tenendo avvolte contro il petto le gonne. “ Non credevo mi potesse succedere”, s’era detta. Di certo non  pensava affatto, a questa eventualità,  mentre Sergio la sospingeva con foga contro il muro della vecchia fornace dismessa, il loro luogo d’appuntamento preferito, sussurrandole parole assurde, pesanti, che poi , in altri momenti, negava di averle detto. “ Io ti ho detto così? Ma che dici  Giacinta…” – negava l’amante  stupito, non per il gusto di  negare, né per vergogna, ma proprio perché non ricordava.
 
Le era costato molto disfarsi del bambino. Ne aveva sofferto più nel tempo,  nel passare dei giorni, che non in quel 23 maggio , giorno in cui  aveva preso il treno di prima mattina e s’era recata  in una città lontana dal  suo paese, nel grigio ambulatorio di un medico frettoloso,  che a malapena le aveva  rivolto la parola e  dato istruzioni  in caso si fosse avveduta  di perdite sanguinolente. Aveva pagato una grossa cifra, quasi  tutti  i suoi risparmi. Ricordava come avesse allungato una busta gialla, gonfia di biglietti da diecimila lire,  lungo il ripiano  lucido della scrivania del medico. Lui aveva preso  il danaro, nemmeno fece il gesto di contarlo , ma infilò la busta in uno stipetto. Una pendola appesa al muro batteva insistente il  tempo  tra di loro. Un lunghissimo  tempo.
Quel pomeriggio  Giacinta era rientrata a casa frastornata e stanca , sotto una pioggia battente. Trovò  la madre  sulla soglia, con un’espressione apprensiva in viso, a chiederle dove mai fosse stata, visto che l’avevano attesa invano per il pranzo e anche oltre.
Giacinta  aveva risposto  che non  si  sentiva  bene, che desiderava solo andare nella sua stanza.  Anche allora un temporale  durò tutta la notte  e sconvolse il giardino.
 
 
 
 
 
 
 
 

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