La Befana di quand'ero bambina | Prosa e racconti | maria teresa morry | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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La Befana di quand'ero bambina

La sera del 5 gennaio, sotto quella che noi  chiamiamo la nappa d'el camìn, il cui bordo era ornato da un addobbo di cotone   arricciato, mettevo la mia calza lunga, di lana. All'epoca, anni cinquanta/ sessanta, le bambine portavano calze lunghe con dei bottoncini.La nostra cucina era poco illuminata perché la  finestra  s'affacciava su di una calle stretta e scura e io mi chiedevo sempre come avrebbe fatto a passare la Befana carica di peso, come era. Dopo cena mia madre preparava la colazione da lasciare alla vecchia signora. Metteva sulla  tavola  persino il portauovo con l'uovo cotto à la coque e la tazza di porcellana bella. Il bricco del latte e l'orzo da sciogliere. Mi era concesso stare in piedi fino alle ore  nove, poi senza tante discussioni andavo a letto. Restavo sotto le coperte a scrutare la  luce  gialla  che, dalla cucina, entrava come una lama nell'ingresso e si  fermava sulla soglia della mia camera.Sentivo i miei  genitori  parlottare, bisbigliare e anche  ridere  piano, erano giovani allora.Dalla  fondamenta  salivano i passi  frettolosi di qualche ritardatario infreddolito. A gennaio spesso nevicava, a Venezia. Non è come ora che il clima s'è fatto più caldo e non nevica quasi mai.Ogni anno mi proponevo di stare sveglia tutta la notte per poter vedere la  Befana "fare la  colazione", ma non ci riuscivo. Me la immaginavo avvolta nello scialle di  lana nero, gocciolante di neve, scapigliata e china sulla tazza  a sorbire rumorosamente  il latte.   Quando tutta la casa era al buio, scivolavo lentamente nel sonno.  Alle sei del mattino del giorno seguente, scattavo dal mio letto e volavo scalza  in cucina. Mio padre aveva già riattivato la stufa a carbone e c'era un  bel tepore .  Controllavo subito se la Befana avesse mangiato. Mia madre aveva lasciato tutto sulla tavola e vedevo bene che nel fondo della tazza c'era ancora un rimasuglio di latte e che l'ovetto era sparito. Anche il tovagliolo era sporco appena, una impronta proprio  nel suo mezzo. Dalla cappa del  camino ciondolava la mia calza di lana bella piena e due pacchetti stavano sul ripiano della cucina economica, assieme ad un po'  di fuliggine caduta dall'alto. Svuotavo la calza e subito rotolavano fuori dei mandarini, arachidi e dolcetti, spesso  un sacchetto  di garza con qualche moneta da cento lire e una sola da cinquecento,  quella magnifica di argento! Gli altri  doni erano sempre dei libri un paio di  guantini, le matite colorate Giotto o i colori a  tempera in tubetto. Una volta  ricevetti con immensa sorpresa una piccola macchina da cucire Necchi, in una custodia di legno.Tutto questo  durò sino al  giorno  in cui decisi di fare la posta alla Befana e così scoprii mio padre, nel suo pigiama di  flanella, fare la colazione e mangiare l'uovo.  Lo spiavo di spalle, così potei vedere che con uno scopino  tirava  giù un poca di  fuliggine dal  camino. Non dissi  nulla, me ne tornai in camera piena di  dubbi  e decisi  di non rivelare quanto avevo scoperto: non  volevo deludere i miei  genitori che sembrava si  divertissero moltissimo nel preparare la  messa in scena...

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