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Self-service story

Alla terza, quarta volta che sospingi il vassoio alla cassa, il cameriere sibila il suo saluto, battendo con destrezza il prezzo. Se ti saluta, allora  fai parte ufficialmente dei più. Sei un cliente noto, prima o poi ti proporranno la card risparmio dei piatti  selezionati. Al self-service siamo tutti una grande famiglia di sconosciuti, taluni abitudinari a pranzo,  certi alla cena.Girando lo sguardo per la sala , impari a notare, ad osservare le abitudini, le compagnie; chi  vuol stare sempre da  solo,chi si avvicina.  Curioso quel  tale che arriva sempre quasi all'ora di chiusura, ha un incarnato terreo, da malato di  fegato. Infatti mangia sempre "in bianco". Velocissimo si fa  il segno della croce. C'è da stupirsi davvero: oggi quasi nessuno osa segnarsi. Ma lui imperterrito,davanti al vassoio con un pasto da sette euro, si segna. E' tra i pochissimi che non appoggiano il cellulare a fianco delle posate. Tutti,infatti, estraggono da borse o da tasche quella tirannica appendice che è il cellulare. Sì certo, possono essere chiamati oppure  esser loro a spedire  veloci messaggini prima di affrontare il piatto di spaghetti, ma nella maggioranza dei casi l'apparecchietto sta spento. Tuttavia piace al suo proprietatio tenerlo sott'occhio.Tutto il resto del mondo è fuori dal self-service,ma il cellulare ti mette subito in contatto con esso vibrando attorno a se stesso.E avverti brusii, ronzii.motivetti in fantasia  mescolarsi agli odori dell cucina,
Di sabato sera incontri sempre una coppia di donne, mamma assai anziana e figlia non più giovane. Vengono per mangiare il pesce fritto che in questo locale  cucinano  davvero bene.Alla vecchia piace la  frittura  di calamari e se capita di trovare nel piatto anche una sola  seppiolina, eccola redarguire malamente la figlia. " Non sei stata attenta a che cosa friggevano! " esclama, allontanando il piatto, seccata. La figlia allunga la mano, prende la seppiolina e se la mangia, senza nemmeno rispondere. Continua a mangiare concentrata sul "misto mare ", non prestando attenzione alla madre che squadra chiunque le si trovi attorno.
Due tavolini più indietro, sotto il mega schermo a cristalli  liquidi che alterna video di  Madonna, Piazza San Pietro in tripudio all'Angelus, o la faccia fissa e  inespressiva di Crimi, si affanna un  gruppo di professionisti. Verosimilmente commercialisti. Infatti dalla  tasche delle giacche sbuca la testata del Sole 24 Ore e la loro conversazione, tra una insalatona con capperi ed una  faraona con patate, appare aggrovigliata su questioni di tasse ed imposte. Un soggetto che si distingue immediatamente tra i tanti, soprattutto di  domenica, è il padre separato che porta  i figli piccoli a mangiare al  self-service, quasi fosse un posto divertentissimo. I figli caricano  il vassoio di  cibarie che le madri non ammetterebbero mai tutte assieme.. Grosse porzioni di patate fritte con sopra maionese o ketchup, CocaCola decisamente maxi, pezzi di pizza farcita, coppette di  tiramisù e panna. Il padre non accenna al minimo dissenso. Una volta seduti, i ragazzini  si armano di videogiochi, la cui  suoneria metallica si espande per il locale. Il padre attacca distrattamente la propria bistecca con piselli, il  figlio più grande, eccitato, grida " Forte 'sto  gioco papi, ho fatto già cento punti!". Il più piccolo, in silenzio, si è già sbrodolato di sugo succhiando uno spaghetto alla volta.
Alla sera,  ora di cena, il panorama  cambia: c'è un pensionato molto  distinto , con un maglione a losanghe. Costui, pur scegliendo  solo un primo piatto ed un bicchiere di vino rosso, si porta da casa il pane. Estrae sempre da un sacchetto ,color ocra,  una mantovanina e la mangia per ultima, in riflessivo silenzio. Non di rado si incontrano anche dei ferrovieri, a fine turno, con addosso  la  divisa di Trenitalia.Mangiano, scambiando poche  parole a bassa voce, aspettano il treno che li riporterà alla stazione di partenza, viaggiando  nella notte. Emanano  un odore di ferro, di strada, di biglietteria.  Il solo che non entra nel locale per mangiare , è un ragazzo del  Bangladesh, che vende  rose. Una rosa,un euro. La offre a tutti. Anche al pensionato, che lo ignora. Mi dice che prima di notte deve averle vendute tutte, altrimenti gli tocca passare due ore all'incrocio di via Piave, per tentare di piazzarle al semaforo, tra gli automobilisti. Fuori c'è un tempo del  diavolo. Lo guardo, il giaccone che indossa è gia zuppo sulle spalle. Le scarpe di tela e gomma sono  fradice. Gli sono  rimaste dieci rose rosse. Nemmeno  tanto malridotte per essere state portate in giro in una giornata come questa. Va bene - gli dico - te le compero io. Il ragazzo sorride e lascia il mazzo chiuso con un elastico sopra al  tavolinetto di alluminio. Le rose  gocciolano piccole perle d'acqua che tremano sull'acciaio del ripiano. Allungo la banconota, lo vedo sorridente.Forse provo fastidio della sua riconoscenza e sbrigativamente lo saluto. Dal megavideo arrivano le immagini  di un qualche politico italiano che commenta i risultati elettoriali del nostro sciagurato  Paese.
 

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