Scritto da © maria teresa morry - Dom, 27/01/2013 - 15:33

Ci avevano fatto sapere che sarebbero arrivati. Avevano intuito il nostro codice binario ABEDO, termine che si riferisce alla capacità dei pianeti di riflettere la luce solare. C’era stata molta discussione tra noi astrofisici: non tutti erano d’accordo che potesse funzionare , ma fatto è che, contro ogni dubbio, esso aveva funzionato; da Venere ci risposero, dopo circa trent’anni dal lancio della sonda-vettore del messaggio codificato.
Risposero con lo stesso codice: ci avevano individuati a partire dal secolo che per noi è il millesettecento. Inizialmente la Terra non era d’interesse per loro- troppo ossigeno nella bassa atmosfera- ma con l’andar del tempo erano rimasti impressionati dallo sviluppo delle esplosioni atomiche sulla Terra, verificatesi nel millenovecento, e finalmente avevano captato un cambiamento considerevole della nostra atmosfera, con presenze gassose loro favorevoli, considerato che essi vivono in un contesto di effetto-serra gravido di biossido di carbonio.
In altre parole l’irreversibile inquinamento atmosferico cui avevamo dato stoltamente inizio nel ‘900 e che ci aveva costretto , per i successivi due secoli ,a vivere come topi entro strutture simili a serre, aveva creato un bioclima accettabile per i Venusiani.
Rispondemmo loro che eravamo pronti a riceverli. Si consideri che la temperatura di quel pianeta è di oltre i 400 gradi centigradi. Sulla Terra oramai , si varia dai 100 ai 150 gradi, a seconda delle zone. Il poli non esistono più e dopo le immani inondazioni, gli Oceani s’erano ritirati a piccoli mari salatissimi e privi di vita.
Ci comunicarono che si sarebbero manifestati in una forma per noi “accettabile” e che avrebbero espresso una preferenza, ai fini di un ambasciatore nostro. Ci interrogammo a lungo sul significato di questa risposta, ma senza intuirne il senso.
Il raggio di fotoni orientati scese come un lama all’interno della grande cavità rocciosa che avevamo predisposto in un deserto del New Mexico. Avevamo costruito uno stretto corridoio con pareti trasparenti capaci di sopportare la fortissima temperatura che si sarebbe generata all’interno di esso. Il Venusiano che si fosse introdotto nel corridoio sarebbe stato accolto da un calore pari a quello di una fornace e quindi avrebbe potuto sopravvivere. Noi del centro astrofisico, vestiti di una tuta fortemente isolante, ci mantenevamo oltre le pareti di cristallo temperato.
Notammo come all’interno del raggio fotonico si materializzò un’ ogiva splendente di tutti i colori dell’iride. La quale planò verticale a se stessa, all’ingresso del corridoio.La capsula era alta all’incirca due metri, di un materiale opalescente .Il computer della base non segnalò alcuna radioattività, ma nel contempo diede notizia di materiale sconosciuto circa le componenti dell’ogiva.
Osservammo come lungo la capsula si aprisse un fessura dalla quale lentamente uscì un essere. Le luci attorno si abbassarono e tutto il corridoio risultò illuminato nel suo interno da una luce gialla sfocata.
Ci trovammo di fronte ad un forma femminile, ossia a noi parve una femmina , una donna. Compresi di colpo che cosa a suo tempo Essi avessero inteso con la locuzione “ forma accettabile” . S’erano dati una forma materiale che noi umani fossimo in grado di riconoscere come gradevole, al fine di essere pronti al dialogo. La donna era puro fuoco che si muoveva costantemente dentro il corpo tutto, pur mantenendosi in contorni ben definiti.
Il volto mostrava occhi grandi e delineati,mentre su di una guancia luccicavano disposti piccoli cristalli multiformi. Restammo ipnotizzati, perché vedevamo una forma di autentica bellezza sebbene a noi sconosciuta e lontana da un qualsiasi canone noto. La donna ci guardò uno ad uno, scuotendo capelli simili a lingue di fuoco e ci sorrise. Straordinario come potessi intuire il disegno delle labbra. Il corpo era ben proporzionato: spalle, braccia, seni, tronco,glutei e gambe. Segno che “loro” ci avevano osservato bene , “ da lassù”. Lei si muoveva fluttuando, non sembrava avesse peso – e di certo non ne aveva - tutt’attorno a sè perdeva minuscole scintille, lapilli e pagliuzze di brace. La femmina procedette nel lungo corridoio fino alla mia altezza .La spessa parete di cristallo temperato ci divideva. Mi fissò negli occhi e , sollevato con delicatezza un braccio, appoggiò il palmo della mano contro ciò che ci divideva. La sua mano rivelò la trasparenza del palmo, in un reticolo di piccoli vasi rossi, all’interno del quale correva un liquido giallo, credo a base sulfurea.
Non c’era traccia di ossa o di nervi. La mano dardeggiava fuoco come il corpo. La donna si fermò qualche istante, sembrava chiedermi di leggere nel suo sguardo ed anzi, per evitare che mi accecassi, spense la brace che conteneva le pupille. La guardai , sentendomi inondato dalla luce rossastra che tutta essa emanava.Gli occhi si dilatarono in una profondità che prima non avevo colto. Era come osservare un planetario tridimensionale e, attraverso lo sguardo della donna, entrai nel nero universo e mi perdetti tra stelle e costellazioni. Ma non provavo la sensazione d’essere privo di direzione, capii infatti che attraverso quelle orbite, la donna mi indicava la strada verso Venere.Appoggiai anch’io la mano guantata contro il cristallo temperato e i nostri due palmi aderirono. La donna battè per un attimo le palpebre e le orbite degli occhi si riaccesero. Quindi girò su se stessa e con stessa eterea andatura ritornò all’ogiva. Prima di rientrare ,lei rialzò il capo fiammeggiante verso di me e dal suo corpo partì una specie di voluta avvitata di gas e lapilli, una saetta corposa che venne a battere di colpo contro il cristallo , dietro al quale io ero rimasto ad osservare. So così per certo che la donna venusiana mi aveva scelto.
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