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Sul quotidiano “Repubblica” del 12 febbraio leggo un articolo, importante e interessante, sul “neo-melodico”, genere canzonettistico in voga da qualche anno nella Napoli apocalittica dei nostri giorni. In tale neo-Gomorra diversi “merli canterini” della locale nobile tradizione canora si son messi a ri-raccontare l’epica e gli amori dei loro eroi rionali, alla luce dell’odierna Odissea camorrista in cui la città sembra catturata e persa. I sentimenti sono quelli di sempre, impetuosi e fatali. Ma gli eroi che li incarnano sono i piccoli commercianti del terrore, i pendagli da forca che confondono l’eroismo con l’abiezione, e l’infamia con chi si pente, o dice di pentirsi, ossia con la legge. Ce lo racconta Roberto Saviano, autore di “Gomorra” e persona assolutamente credibile. Tuttavia, noi qui crediamo soltanto in due delle sue conclusioni. Cioè, laddove dice di apprendere più sul suo Paese dai testi di queste canzoni (che ne “rappresentano una parte importante”) che dagli editoriali e dalla saggistica di giornalisti e sociologi; e dove dice che non si può, questi testi e questa gente, ignorarli e disprezzarli.
Vero. Tutto vero. Ma Saviano sembra dimenticarsi di segnalare un fondamento radicale nel giudizio su tutto ciò: ossia che tutto il “racconto” di questa imprescindibile parte d’Italia è calato nella aberrazione di una “normalità” che ripugna alla stessa natura umana- figuriamoci all’attuale standard europeo. Voglio dire: per me è normale come si vive a Köln, non come si vive a Napoli. L’epos dell’eroe è quello di chi fa per gli altri, non contro gli altri. È infame l’eroe della Camorra, non chi gli si rivolta schierandosi con la legge. Certo, una legge “impura” per così dire. La legge di uno Stato che non ha solo consentito il proliferare dell’illegalità, ma che se ne è servito, l’ha alimentata, l’ha sfruttata. Certo. Ma non si può, non si deve passare sotto silenzio la morale abietta, “sgarrupata”, perversa che ne consegue: non solo i sentimenti che ci vengono propinati in tale “neo-melodico” sono antidiluviani, modesti, primitivi, ma il loro miserrimo romanticume è frainteso e capovolto: lo squallido eroe ne è il malavitoso- un esempio raccapricciante di “banalità del male”.
Qui siamo alla (ri)fondazione nazista della “verità”: una verità ovviamente non vera, il cui approdo finale dentro la realtà è l’apocalisse.
 
Nota: l'articolo di Saviano si riferisce ad alcuni interpreti del genere, non a tutto il genere neomelodico.
 

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