Scritto da © 'O Malament - Mar, 11/02/2014 - 02:16
Capitolo I
Palummella
Pur avendo già compiuto quattordici anni, Vincenzo, dopo la morte del padre, aveva continuato a vivere con le quattro sorelle, la madre e la nonna materna. Aveva preferito così, anche se Nunziatina, passato l’anno di lutto, s’era riaccompagnata con Antonio detto ‘a Palummella in quanto invece di andare per la strada come quasi tutti gli abitanti del quartiere, aveva trovato posto al Molificio.
Rigorosamente in nero per non essere scambiato per un operaio, ma non era altezzosità la sua, piuttosto per non dar luogo a sospetti o invidie, egli entrava in fabbrica una mezzora prima che suonasse la sirena del turno delle diciotto, quello notturno, prelevava dagli armadietti chiusi a chiave, magliette, giacche, pantaloni, sottana e scarpe dei cinque impiegati e dell’unica contabile e glieli faceva trovare ben appesi nello sgabuzzino che fungeva da archivio cartaceo dell’ufficio al piano sopra. Poiché nello spogliatoio entrava molta più farina che in ogni altro luogo dell’opificio, prima di appenderveli provvedeva a spazzolarli ben bene con una spazzola di sua proprietà, lavata accuratamente ogni sera. Rimaneva fuori dalla porta dello sgabuzzino perché questa non dovesse schiudersi durante le operazioni in quanto mancante di serratura, se occorreva dando un leggero busso per sollecitare i più pigri, e, sempre, sollecitava i sei a porre estrema attenzione a scendere le due rampe a chiocciola che li dividevano dalla terra ferma, dove rombavano e scalciavano le macchine meccaniche.
Per questo servizio gli venivano recapitati, presso la propria abitazione, ogni 27 del mese, non prima, non dopo, due sacchi da mezzo quintale l’uno di farina tipo 0 di qualità media, che, ad una famiglia media di otto persone bastava appena da un 27 a un 26, per far pasta e pane.
All’olio, all’acqua, al sale, a tutti i condimenti vegetali provvedevano di buona lena, quasi giornalmente, le femmine della famiglia.
“Per quanto mi riguarda, m’ero riservato un ruolo per le spese straordinarie."
Rigorosamente in nero per non essere scambiato per un operaio, ma non era altezzosità la sua, piuttosto per non dar luogo a sospetti o invidie, egli entrava in fabbrica una mezzora prima che suonasse la sirena del turno delle diciotto, quello notturno, prelevava dagli armadietti chiusi a chiave, magliette, giacche, pantaloni, sottana e scarpe dei cinque impiegati e dell’unica contabile e glieli faceva trovare ben appesi nello sgabuzzino che fungeva da archivio cartaceo dell’ufficio al piano sopra. Poiché nello spogliatoio entrava molta più farina che in ogni altro luogo dell’opificio, prima di appenderveli provvedeva a spazzolarli ben bene con una spazzola di sua proprietà, lavata accuratamente ogni sera. Rimaneva fuori dalla porta dello sgabuzzino perché questa non dovesse schiudersi durante le operazioni in quanto mancante di serratura, se occorreva dando un leggero busso per sollecitare i più pigri, e, sempre, sollecitava i sei a porre estrema attenzione a scendere le due rampe a chiocciola che li dividevano dalla terra ferma, dove rombavano e scalciavano le macchine meccaniche.
Per questo servizio gli venivano recapitati, presso la propria abitazione, ogni 27 del mese, non prima, non dopo, due sacchi da mezzo quintale l’uno di farina tipo 0 di qualità media, che, ad una famiglia media di otto persone bastava appena da un 27 a un 26, per far pasta e pane.
All’olio, all’acqua, al sale, a tutti i condimenti vegetali provvedevano di buona lena, quasi giornalmente, le femmine della famiglia.
“Per quanto mi riguarda, m’ero riservato un ruolo per le spese straordinarie."
Fatto questo preambolo, rimane da dire la distribuzione della stanza. Logisticamente, era stata trovata come la più idonea questa soluzione:
dopo la porta d’ingresso veniva immediatamente lo spazio salotto-tinello-cucina senza alcuna perdita in inutili corridoi, poi un bagno mobile consistente in tre vasi da notte smaltati appoggiati a terra, due catini per acqua ugualmente smaltati di cui uno su un treppiede in ferro e, subito dopo, lo spazio notte, separato dal tinello da una tenda verde bottiglia alla bisogna anche quella mobile, che correva da una parete all’altra.
dopo la porta d’ingresso veniva immediatamente lo spazio salotto-tinello-cucina senza alcuna perdita in inutili corridoi, poi un bagno mobile consistente in tre vasi da notte smaltati appoggiati a terra, due catini per acqua ugualmente smaltati di cui uno su un treppiede in ferro e, subito dopo, lo spazio notte, separato dal tinello da una tenda verde bottiglia alla bisogna anche quella mobile, che correva da una parete all’altra.
A chi potesse aver pensato infine, habitué di ben altri siti o libri, ad un esordio di un racconto avente uno sviluppo torbido derivante primariamente dalla ristrettezza degli spazi, dalla relativa, forzata dislocazione dei posti letto, dal debole intreccio psicologicio, devo dire che nulla di tutto ciò troverà nel racconto; semmai la bellezza dei luoghi, la piacevolezza semplice e la sorpresa nelle situazioni, la varietà dei personaggi, la radice inesplicabile di una filosofia di vita che oggi, in un mondo teso all'accumulazione, ha del fuori dal tempo ."
Start Up
Start Up
Le api. Forse ci state a debita lontananza, e fate bene; sono diversissime da voi, da me.
Viaggiano, ma per quante ore? Qual è la resistenza di un’ape al volo: quanti chilometri al giorno?
E poi, questa storia dei colori, delle essenze, che non si è mai ben compresa. Dove sta il loro senso dell’odorato, i loro occhi come li vedono i colori? E il senso dell'orientamento? E l’incasellamento, lo stoccaggio, quanto prende del loro tempo?
E infine, “last but not least”, le operaie, lo fanno perché ce l’hanno per mestiere o per piacere?
“Certe, na vota ce l’aggie vuta pure ie na vutat’’e mente”, stava pensando fra se e se Peppine ‘o cavallare, “ non ricordo quando, ma l’ho avuta l’idea di dare una sterzata alla mia esistenza.”
Poteva ringraziare il Signore, Peppino; il Signore e le viuzze strette della sua Napoli, ché lì, per quelle viuzze, i camion, quelle bestiacce tutte anodizzate dotate delle più astruse diavolerie: idrovore, compressori, prolunghe, etc.etc. non ci sarebbero mai potuti passare. A meno che di buttar giù i bassi di mezza città.
Invece lui, Peppine, con il suo carretto in legno, che aveva fatto spondare più alto da tutti e quattro i lati, cui s’era ingegnato di modificare le stanghe perché gli cadessero in modo geniale sulle spalle, lui riusciva, conoscendone a perfezione gli angoli, le scorciatoie, le segrete connessioni, ad inerpicarsi, ad arrivare quasi dappertutto.
Aveva sviluppato un’odorato impensabile, quale un cane selvatico; Peppine, l’odore particolarissimo dei pozzi neri lo distingueva ad una distanza superiore ai cinque chilometri. Non importava se fossero in superficie oppure più interrati, egli riusciva a indovinarne i proprietari o, perlomeno, dalla specificità delle loro più recondite essenze, la zona; con una precisione da navigatore satellitare.
Pensare che tutto questo fosse partito da una gita scolastica casuale nella quale s'era infiltrato, (un nipote tredicenne che gli aveva riferito di questa cosa di S.Apollinare in Classe) significherà pure qualcosa dei segreti della superiorità umana!
Era stato facilissimo salire e sedersi sul pulmann al fianco delle due prof,, giustificare la propria presenza in quanto familiare addetto abitualmente all'assistenza di un ragazzetto affetto da epilessia. L'avevano addirittura ringraziato. Non se n'erano mai accorte!
A S. Apollinare la prima folgorazione: quei mattoncini piccoli piccoli, ma così preziosi.
Le forme erano le più varie, ma Peppine fu colpito dai prismi, gli esagoni, che tanto assomigliavano all'intelaiatura di quei primi alveari che s'era arrubato nelle vicinanze di una discarica a S.Giuseppe Vesuviano, dove andava a scaricare le eccedenze. Terreni ormai incolti, comunque.
Dopo esser tornato, dopo la scoperta, s'era fatto un giro, senza l'impaccio del carretto, per le varie discariche, aveva trovato modo di parlare all'orecchio dei sorveglianti, aveva prestato più attenzione a quanto raccontava Omar, il ghanese collaboratore a progetto permanente che gli riequilibrava le stanghe sulle spalle durante le discese, che gli disincagliava le ruote; lo aveva ascoltato attentamente quando blaterava della sua formazione nell'edilizia, (limitata, deve dirsi, a quella della costruzione di interi villaggi africani sperduti in mezzo alle foreste) e, infine, s'era deciso al grande passo.
Insieme a questi aveva razziato quanti più alveari potesse, forse un migliaio forse più, bruciato in gran parte le cassette perché i proprietari non potessero riconoscerle, e con le intelaiature interne che contenevano il core businnes dell'idea aveva formato sul bordo della discarica più ospitale una lunga fila, perfettamente pareggiata a livello del terreno, nella quale Omar scaricava con ogni cura, al termine di ogni viaggio, ciò che Peppine prelevava senza sosta dai pozzi neri.
Il risparmio nei tempi di produzione, quindi nei costi, era la risultante della sinergia tra l'odorato di Peppine, che scartava quella dei quartieri più pestilenzialmente occidentalizzati, l'occhio dello stesso, che selezionava le sfumature della materia prima, il sole, e i fuochi che, specie nelle giornate d'inverno, quelle più piovose e disagiate, (allora venivano buttati nella bocca della discarica molti più pneumatici) il sorvegliante accendeva ai bordi di quella speciale fornace, ottenendo in tal modo il calore artificiale necessario per l'esatta e tempestiva maturazione dei mosaici.
Il settore marketing sul posto era stato affidato ai fratelli e cugini di Omar i quali, essendo un numero sterminato, per una scheda telefonica ogni venti di essi, potevano raggiungere, a piedi, ogni villaggio, ogni nuova periferia di città del Ghana e proporre, o l'implementazione con rifacimento sul costruito o l'inserimento a sbalzo e a nuovo dei mosaici “italian style S.Apollinare" nei mattoni di sterco di vacca e fango di produzione locale.
Nel giro di circa quindici mesi, il volume d'affari si è talmente ampliato che ora Peppine pensa di iscriversi al Registro nazionale delle Start Up.
Chissà che, con il “consiglio” del sorvegliante della discarica, (pensa il nostro creativo) non riesca anch'egli ad accedere ad uno di quei fondi perduti, si, nei meandri della burocrazia.
Xilly
Viaggiano, ma per quante ore? Qual è la resistenza di un’ape al volo: quanti chilometri al giorno?
E poi, questa storia dei colori, delle essenze, che non si è mai ben compresa. Dove sta il loro senso dell’odorato, i loro occhi come li vedono i colori? E il senso dell'orientamento? E l’incasellamento, lo stoccaggio, quanto prende del loro tempo?
E infine, “last but not least”, le operaie, lo fanno perché ce l’hanno per mestiere o per piacere?
“Certe, na vota ce l’aggie vuta pure ie na vutat’’e mente”, stava pensando fra se e se Peppine ‘o cavallare, “ non ricordo quando, ma l’ho avuta l’idea di dare una sterzata alla mia esistenza.”
Poteva ringraziare il Signore, Peppino; il Signore e le viuzze strette della sua Napoli, ché lì, per quelle viuzze, i camion, quelle bestiacce tutte anodizzate dotate delle più astruse diavolerie: idrovore, compressori, prolunghe, etc.etc. non ci sarebbero mai potuti passare. A meno che di buttar giù i bassi di mezza città.
Invece lui, Peppine, con il suo carretto in legno, che aveva fatto spondare più alto da tutti e quattro i lati, cui s’era ingegnato di modificare le stanghe perché gli cadessero in modo geniale sulle spalle, lui riusciva, conoscendone a perfezione gli angoli, le scorciatoie, le segrete connessioni, ad inerpicarsi, ad arrivare quasi dappertutto.
Aveva sviluppato un’odorato impensabile, quale un cane selvatico; Peppine, l’odore particolarissimo dei pozzi neri lo distingueva ad una distanza superiore ai cinque chilometri. Non importava se fossero in superficie oppure più interrati, egli riusciva a indovinarne i proprietari o, perlomeno, dalla specificità delle loro più recondite essenze, la zona; con una precisione da navigatore satellitare.
Pensare che tutto questo fosse partito da una gita scolastica casuale nella quale s'era infiltrato, (un nipote tredicenne che gli aveva riferito di questa cosa di S.Apollinare in Classe) significherà pure qualcosa dei segreti della superiorità umana!
Era stato facilissimo salire e sedersi sul pulmann al fianco delle due prof,, giustificare la propria presenza in quanto familiare addetto abitualmente all'assistenza di un ragazzetto affetto da epilessia. L'avevano addirittura ringraziato. Non se n'erano mai accorte!
A S. Apollinare la prima folgorazione: quei mattoncini piccoli piccoli, ma così preziosi.
Le forme erano le più varie, ma Peppine fu colpito dai prismi, gli esagoni, che tanto assomigliavano all'intelaiatura di quei primi alveari che s'era arrubato nelle vicinanze di una discarica a S.Giuseppe Vesuviano, dove andava a scaricare le eccedenze. Terreni ormai incolti, comunque.
Dopo esser tornato, dopo la scoperta, s'era fatto un giro, senza l'impaccio del carretto, per le varie discariche, aveva trovato modo di parlare all'orecchio dei sorveglianti, aveva prestato più attenzione a quanto raccontava Omar, il ghanese collaboratore a progetto permanente che gli riequilibrava le stanghe sulle spalle durante le discese, che gli disincagliava le ruote; lo aveva ascoltato attentamente quando blaterava della sua formazione nell'edilizia, (limitata, deve dirsi, a quella della costruzione di interi villaggi africani sperduti in mezzo alle foreste) e, infine, s'era deciso al grande passo.
Insieme a questi aveva razziato quanti più alveari potesse, forse un migliaio forse più, bruciato in gran parte le cassette perché i proprietari non potessero riconoscerle, e con le intelaiature interne che contenevano il core businnes dell'idea aveva formato sul bordo della discarica più ospitale una lunga fila, perfettamente pareggiata a livello del terreno, nella quale Omar scaricava con ogni cura, al termine di ogni viaggio, ciò che Peppine prelevava senza sosta dai pozzi neri.
Il risparmio nei tempi di produzione, quindi nei costi, era la risultante della sinergia tra l'odorato di Peppine, che scartava quella dei quartieri più pestilenzialmente occidentalizzati, l'occhio dello stesso, che selezionava le sfumature della materia prima, il sole, e i fuochi che, specie nelle giornate d'inverno, quelle più piovose e disagiate, (allora venivano buttati nella bocca della discarica molti più pneumatici) il sorvegliante accendeva ai bordi di quella speciale fornace, ottenendo in tal modo il calore artificiale necessario per l'esatta e tempestiva maturazione dei mosaici.
Il settore marketing sul posto era stato affidato ai fratelli e cugini di Omar i quali, essendo un numero sterminato, per una scheda telefonica ogni venti di essi, potevano raggiungere, a piedi, ogni villaggio, ogni nuova periferia di città del Ghana e proporre, o l'implementazione con rifacimento sul costruito o l'inserimento a sbalzo e a nuovo dei mosaici “italian style S.Apollinare" nei mattoni di sterco di vacca e fango di produzione locale.
Nel giro di circa quindici mesi, il volume d'affari si è talmente ampliato che ora Peppine pensa di iscriversi al Registro nazionale delle Start Up.
Chissà che, con il “consiglio” del sorvegliante della discarica, (pensa il nostro creativo) non riesca anch'egli ad accedere ad uno di quei fondi perduti, si, nei meandri della burocrazia.
Xilly
Xilly è un femminiello.
Mentre tutto il mondo li chiama trans, Napoli, da tempo immemorabile, con un linguaggio molto meno tecnico, li chiama femminielli.
È nato e cresciuto nella porta accanto. Una famiglia di sei figli come la mia.
Mentre mio padre ai figli maschi ha insegnato a cuocere le pizze, il suo, avendo scelto la disoccupazione, ha loro insegnato di andare ognuno per la propria strada.
Xilly, che ricordo fin dall'infanzia si è sempre voluto distinguere, da scellerato qual è, predilige il Vomero. Gli altri due suoi fratelli, di natura più popolan-turistica, bazzicano la zona intorno il Castello degli Angiò.
Mentre tutto il mondo li chiama trans, Napoli, da tempo immemorabile, con un linguaggio molto meno tecnico, li chiama femminielli.
È nato e cresciuto nella porta accanto. Una famiglia di sei figli come la mia.
Mentre mio padre ai figli maschi ha insegnato a cuocere le pizze, il suo, avendo scelto la disoccupazione, ha loro insegnato di andare ognuno per la propria strada.
Xilly, che ricordo fin dall'infanzia si è sempre voluto distinguere, da scellerato qual è, predilige il Vomero. Gli altri due suoi fratelli, di natura più popolan-turistica, bazzicano la zona intorno il Castello degli Angiò.
La Grazia
La gravezza della riflessione sparisce d'incanto. Non che sia cosa insolita: capita quasi quotidianamente quando m'approssimo il mattino al Pensatoio.
Oggi, però, discutevo con me stesso della Grazia. E, per sopraggiunta, se sia nata prima l'Idea di uomo o quella di Dio.
Il concetto, in “nuce”, è questo, ed è, come la nascita di tutti i concetti, una domanda: “Che bisogno c'era di inventarsi la Grazia se mancava l'oggetto della stessa, l'uomo cioè.”
Le premesse, (buffo no?) sono ambedue sillogismi a se stanti: per semplificare, il classico è nato prima l'uovo o la gallina ma senza la semplificazione dell'Ingiustizia apparente.
Ora, si parta da una breve descrizione della Grazia: “è quel fenomeno che tocca, statisticamente non sempre, l'uomo, sia inteso come entità, sia inteso come maschio. In ambedue i casi, nell'accezione di individuo.”
Chi sparge questo seme sulle nostre teste o è Dio o è la Donna. Ognuno di essi incidendo, sulle nostre già gravate spalle, il segno delle loro scelte, l' amore.
Tralasciamo, per un momento, l'incidente, poiché nessuno potrebbe definirlo probatorio, se sia stato Dio a constatare con l'osservazione o la Donna a simulare poi, studiandogli la fronte; fatto è che da quell'istante si sono comportati in modo simile.
Discende che il toccato, per conservare la Grazia, deve avere fede in quel che non ha scelto.
La Fede opera miracoli, come sa per esperienza chi la pratica, così tra Graziante e Fedele s'instaura o può, o dovrebbe, instaurarsi il meccanismo del corrispettivo.
Questo è lo scopo. E, ciò, deve rimanere, continui a piacere o meno.
Certo è, se in tal modo è avvenuto, che ci vuole una mente diabolica, comunque superiore, per concepire contestualmente l'Idea di uomo e di Grazia.
Su queste e altre cose dovrò comunque riflettere, specie sull'ingiustizia statistica. Anche se, ad appianare un poco la strada a Dio, ci hanno subito pensato le Assicurazioni.
Ora mi sto deconcentrando, ma dovrei, devo tornarci, forse domani per non perdermi il filo, su queste cose teosofiche.
Tomaso di Roccasecca: era grasso o magro?
Ridete? Sono stati spesi fiumi d'inchiostro, non ultimo Jung, su questo sempre attuale dilemma.
Oggi, però, discutevo con me stesso della Grazia. E, per sopraggiunta, se sia nata prima l'Idea di uomo o quella di Dio.
Il concetto, in “nuce”, è questo, ed è, come la nascita di tutti i concetti, una domanda: “Che bisogno c'era di inventarsi la Grazia se mancava l'oggetto della stessa, l'uomo cioè.”
Le premesse, (buffo no?) sono ambedue sillogismi a se stanti: per semplificare, il classico è nato prima l'uovo o la gallina ma senza la semplificazione dell'Ingiustizia apparente.
Ora, si parta da una breve descrizione della Grazia: “è quel fenomeno che tocca, statisticamente non sempre, l'uomo, sia inteso come entità, sia inteso come maschio. In ambedue i casi, nell'accezione di individuo.”
Chi sparge questo seme sulle nostre teste o è Dio o è la Donna. Ognuno di essi incidendo, sulle nostre già gravate spalle, il segno delle loro scelte, l' amore.
Tralasciamo, per un momento, l'incidente, poiché nessuno potrebbe definirlo probatorio, se sia stato Dio a constatare con l'osservazione o la Donna a simulare poi, studiandogli la fronte; fatto è che da quell'istante si sono comportati in modo simile.
Discende che il toccato, per conservare la Grazia, deve avere fede in quel che non ha scelto.
La Fede opera miracoli, come sa per esperienza chi la pratica, così tra Graziante e Fedele s'instaura o può, o dovrebbe, instaurarsi il meccanismo del corrispettivo.
Questo è lo scopo. E, ciò, deve rimanere, continui a piacere o meno.
Certo è, se in tal modo è avvenuto, che ci vuole una mente diabolica, comunque superiore, per concepire contestualmente l'Idea di uomo e di Grazia.
Su queste e altre cose dovrò comunque riflettere, specie sull'ingiustizia statistica. Anche se, ad appianare un poco la strada a Dio, ci hanno subito pensato le Assicurazioni.
Ora mi sto deconcentrando, ma dovrei, devo tornarci, forse domani per non perdermi il filo, su queste cose teosofiche.
Tomaso di Roccasecca: era grasso o magro?
Ridete? Sono stati spesi fiumi d'inchiostro, non ultimo Jung, su questo sempre attuale dilemma.
Capitolo 2
Aforismi
Histhofen
Histhofen è un vegliardo, malato di nostalgie.
Quando in palestra l'hanno visto con un rivo blu che gli colava dagli angoli della bocca, portare a 7 il livello del tapis roulant, nessuno ha pensato ai soliti anabolizzanti.
Loro di Napoli
Mercato degli ambulanti: saluto mattutino, “Oh, stlonzo!”
»
- Blog di 'O Malament
- 838 letture