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La TARI e Babbo Natale

Caro Babbo Natale,
ho una bella notizia per te: quest’anno non dovrai portarmi regali. Né per me, né per mia moglie, né per i miei figli. Neanche per quei due diavoletti di nipotini che, ogni anno, qualcosina, dal loro adorato zio Peppe, sanno che arriva.
Beh, più che altro, non “potrai” portare regali. Sappiamo benissimo entrambi che sei un personaggio immaginario, che i regali che di solito fai tu li compro io… e anche che devo essere leggermente fuori di testa a scrivere ad una persona che non esiste, ma questa è la tradizione.
Niente regali, dicevo. Tutto risolto. Niente più giri per negozi, niente più ore perse nel traffico natalizio (anche se, suppongo, quest’anno mancherà pure questo), niente più scervellamenti su cosa comprare, su cosa può piacere… e su quanto deve costare.
Quest’anno c’è la TARI.
Diavolo, no, non c’è solo quella. C’è anche la TASI, e l’IMU per quella catapecchia in paese che nessuno vuole comprare e di cui non so che fare, e ci sarebbe stata anche la TARES per la spazzatura, un paio di centinaia di euro l’ultima volta… Queste, però, erano già contabilizzate, i soldi messi da parte. Magari un po’ a fatica, ma con Equitalia non è il caso di scherzare…
Notizia buona: la TARES non c’è più, e duecento euro rimangono in saccoccia.
Notizia cattiva: la sostituisce la TARI, e la bolletta è già arrivata. Cinquecentosessanta euro. Pretesi con nonchalance come un oboletto di poco conto, pressappoco una tazzina di caffè. E non sto parlando di una grande metropoli (probabilmente, quelli che stanno a Milano o Roma sorrideranno di queste cifre), ma di Trenta, un paesello di duemila anime nella presila cosentina.
Differenza: trecentosessanta euro, centesimo più, centesimo meno. Cavolo, trecentosessanta. Io al massimo, se proprio ero in vena di follie, avrei speso un centinaio d’euro per mia moglie, una cinquantina per ciascuno dei miei due figli, dieci – venti euro per nipotino, giusto un pensierino. Siamo a duecentoventi – duecentoquaranta euro.
Trecentosessanta! In più. Altro che regali, qua salta anche il cenone!
Ma che fare? La rivoluzione, per trecentosessanta euro? Oddio, non sarebbero trecentosessanta, ma molti di più. Comunque, la rivoluzione non puoi farla da solo. E poi il buon presidente Napolitano lo ripete in continuazione: abbassiamo i toni, cerchiamo il dialogo (anche se il tizio con cui dovremmo “dialogare” ti sta chiaramente e costantemente prendendo per i fondelli)… Non pagare? Così poi viene Equitalia e ti leva pure le mutande. Già ci ha provato più di una volta per cartelle che avevo pagato regolarmente, e di cui loro avevano perso le tracce, figuriamoci se provo a fare il furbo.
Niente da fare, non esistono vie d’uscita. Pagare, e stringere ancora la cinghia. Con buona pace dei grandi discorsi del Matteo nazionale sul rilancio dell’economia. Perché, quest’anno, i negozianti di Cosenza da me non vedranno un nichelino. E, sospetto, non solo da me. Lui continuerà a fare bei discorsi, su investimenti, job act, assunzioni, garanzie ai lavoratori e supporto alle imprese (e quello Squinzi ci crede pure!), e noi continueremo a non spendere, a non comprare, e a spingere i negozi a chiudere e le imprese a non produrre inutilmente roba che non si vende, scoraggiando investimenti ed incentivando licenziamenti. Perché soldi non ce ne sono, tutti impiegati a pagare stipendi da favola a degli incapaci che, nel migliore dei casi, non producono nulla, e i pochi che arrivano nelle nostre tasche dobbiamo impiegarli a pagare balzelli. A restituire, almeno al triplo, quegli ottanta euro elargiti ad una parte di noi con cui s’è comprato un quarantuno per cento alle scorse europee.
Quindi, caro Babbo, per quest’anno puoi riposare tranquillamente. E non darti pena più di tanto, probabilmente il prossimo anno non avrò nemmeno carta e penna per scriverti di nuovo.
Auguri di buon Natale a te, che non esisti nemmeno. Sei l’unico ad avere delle chance.
 

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