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Riflessioni su uno scritto di G.Cantarano

Leggo una interessante nota di Giuseppe CANTARANO che induce alla riflessione:
 
"Alla testa del suo imponente esercito, mosso dalla curiosità, il re Serse vuole vedere dall’alto la più numerosa armata mai esistita, posta sotto il suo comando. Salito, durante una sosta, su un promontorio, si compiace nell’ammirare l’intero Ellesponto punteggiato dalle sue navi. E la retrostante e immensa pianura, interamente ricoperta dai suoi battaglioni. Ma dopo qualche istante racconta Erodoto -, la sua gioia si muta in cupo sconforto. E comincia inspiegabilmente a piangere. A chi gli chiede la ragione del suo contraddittorio comportamento, egli risponde: ''Sì, un istante fa ero felice, mentre ora sono addolorato perché mi è sopraggiunto un senso di commiserazione, al pensare quanto è breve nel suo complesso la vita umana, se di tutta questa enorme folla nessuno sarà in vita tra cento anni".
 
"Piangere o rassegnarsi"?
 
L'evento naturale morte, naturale come un fulmine, un temporale, la pioggia o una slavina, è "fenomeno" a cui non ci si rassegna.
Ma non è la morte parte integrante della vita?
Certamente ne è il momento conclusivo.
 
Di certo alla "morte" non ci si rassegna e per lo più, la si considera come un dileggio, un irreparabile ed estremo vulnus.
 
Al contempo è innegabile che l'evento morte può anche essere considerato come la fine dei mali e delle sofferenze che la vita comporta.
 
Male estremo, quindi e ultima "via di fuga" da dolori e sofferenze.
 
Come porsi e come "prepararsi" alla morte?
 
 
 
 
 

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