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rinaldoambrosia 

LE CASE

La prima.

È un viaggio di ritorno. Un ritorno un po' particolare. È come quando fissi una
parete bianca e lasci scorrere il pensiero. Allora, immagini stagioni corrono su quel muro, e il passato, di colpo, ti si riversa addosso. Forse sono anche le
strade a sollevare i ricordi. C'è tutto un percorso che parte da quelle strade e si srotola nella mente. Lo solleva e lo porta fuori. L'emozione seppur partecipe è obliata dal tempo. Che dire di quei primi passi tra l'acciottolato di via Garavella? 
Il ricordo è ravvivato dalle immagini fotografiche racchiuse in quella (vetusta anch'essa) scatola di biscotti. Le sfoglio assaporando la sensazione del tempo. 
Ma ha sapore il tempo? 
Ecco che quella fotografia di mia madre che mi abbraccia, sollevandomi in alto, sullo sfondo del castello di Rivoli, mi riporta al sapore di pappette e al gusto di stoffa. Il succhiare un angolo del bavaglino. C'è un leggero fluire del tempo in quella manciata di anni trascorsi in quel luogo, in quella abitazione. 
La fotografia della torta del primo anno, con quel bimbo che allunga la mano verso il dolce, incuriosito da quella insolita candelina che troneggia sulla torta, è passato remoto; dove il ricordo lo ravviva seguendo un percorso arcano e nel medesimo tempo suggestivo. L'abitazione è ancora lì, al numero civico 38, con il cancello lavato dalle stagioni. La via è pressoché immutata nello scorrere degli anni, nel trasporto che punta al ricordo dell'infanzia.

La seconda.

Ma la successione delle case inizia da allora, mentre l'incipit del ricordo prende corpo. Il passaggio successivo compare in via Rombò. Lì, gli anni sono trascorsi racchiusi in un lasso di tempo più lungo. C'è la scritta MOBILI in verticale sul portone d'ingresso. Il breve passo carraio che conduce nel cortile.
Il porticato sulla destra, che si contrappone ad un lungo sottotetto sul lato opposto. Il nespolo che fa da sentinella alla grande casa colonica di tre piani. 
Salgo tre rampe di scale. Supero il pianerottolo con il vecchio gabinetto, gelido per gli spifferi e, aperta la porta dalla lucida targhetta in ottone, mi ritrovo nella penombra delle camere. Tra le persiane accostate si insinuano i rumori della casa. Una radio diffonde una canzone melodica. Sale dal cortile il cicaleccio delle donne che cuciono all’ombra del nespolo. Il bucato steso sui balconi ondeggia pigramente all’aria, poi sento la voce di mia madre che mi chiama.
Allora scendo veloce le scale e le corro incontro nel cortile.
Come un filo di fumo che sale, il ricordo serpeggia su quelle scale. Lì, tra quelle due stanze il bambino cresce, anima persa in una infanzia proiettata verso future prospettive. Un lento accadere che accompagna il giorno. Dove l'emotività e la fantasia diventano entusiasmo.

La terza.

C'è un lieto ondeggiare, un salto temporale, e il vicolo si apre nella penombra, deserto come sempre. É lì, che ricompare il bambino con i calzoncini corti a
giocare con i compagni. I vetri colorati delle bottiglie rotte, ridotti con un sasso a frammenti, sono il tesoro. I pezzi di colore giallo, blu e viola sono più preziosi di una ametista. E poi via, in quella soffitta, il loro covo di pirati. La stretta strada si fa testimone del giocare.
Dopo aver percorso pochi passi, è la sensazione provocata dal selciato sconnesso, composto da ciottoli di fiume, che riavvolge di colpo il tempo. Era su quelle pietre che il ragazzo ha consumato le sue scarpe giocando al pallone e, con il passare degli anni, proprio su quelle pietre ha spento, con il tacco della scarpa, i suoi primi mozziconi di sigaretta. Le scale portano all'ultimo piano di quel palazzo settecentesco che della sua struttura originale ha perso l'identità, violentato da ristrutturazioni, abbaini, mansarde e vetrine che si contrappongono ai muri. Eppure le camere nel ricordo si aprono allo sguardo come un tempo. Anche la finestra guarda verso la collina nel sorgere del sole. La Basilica di Superga ne è avvolta.

La quarta.

Giorni, mesi, anni e poi un nuovo trasloco, verso una casa dei primi del
'900. Sono gli anni scanzonati della scuola media, degli amici e della musica di quei quattro ragazzi di Liverpool. La strada, nello scorrere degli anni abbandona la polvere votata verso il manto d'asfalto. Il quartiere cresce. Crescono palazzoni come funghi.
La casa dell'adolescenza non c'è più, l'hanno demolita per far posto ad un
palazzo. Però l'immagine del ricordo è presente, vivida. Puoi contare gli scalini che portano al piano superiore. La porta-finestra del balcone che dà sulla cucina. La nonna è lì, china sui fornelli. Ti pare di sfiorarla con le dita, ma è soltanto una immagine del passato. Però sorride come allora. Fai qualche
passo lungo lo stretto corridoio e il sorriso della mamma ti accoglie gioioso e solare come un tempo. Poi entri in una stanza e vedi quel ragazzo che sei tu. Forse è un sogno quello che stai facendo, un sogno che si proietta nel ricordo. Appari come in una vecchia fotografia, quella dei tuoi vent'anni.

La quinta.

Affacciato al balcone osservi il tramonto che indugia sul Monviso, guardi i
tetti del vecchio borgo ricoperti di coppi. Pensi: di cosa è composta una casa? Mattoni, pietre e intonaco, infissi, tubature e ricordi, molti ricordi. Ne sono intrise le camere, le scale e le fondamenta. 
- Guarda, hanno buttato giù la casa!
Sposti lo sguardo, là, oltre le nuove costruzioni. Un alto cumulo di macerie ricopre l’intero perimetro. Sembra un dente mancante tra i due nuovi
edifici adiacenti. 
Quando hanno demolito la vecchia casa? 
Ieri sera, immobile, brillava ancora sotto i raggi della luna. C’era una strana calma nell’aria e i tetti tutt'attorno sembravano vibrare avvolti da un pallido alone. I riflessi delle luci tagliavano la notte. I profili degli edifici sembravano disegnati su una lavagna con un sottile gessetto bianco.
Ti era parso, in quel panorama stregato, di intravedere solo per un istante, stagliarsi contro il cielo i capannoni della antica segheria, abbattuti ormai da
numerosi anni. Vedendo, al loro fianco, crescere la mole della vecchia chiesa, con il suo ampio tamburo circolare, demolita anch’essa per lasciare spazio ad una piccola piazza. I loro profili vibravano nell’aria. Quell’angolo fantasma di città si era rianimato, in un istante, per salutare una vecchia amica, e tutto vibrava, vibrava.

 


 
 
 
 
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