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Sbriciolando monumenti dal tempo

Quel suo vestito rosa, nascondeva
un corpo da favola, amico mio, sapessi
(sorrido quand’oggi ci penso, così smaliziato)
che corpo che aveva…

Si era ragazzi allora,
il terreno sotto ai piedi filava come la luce,
il suo muoversi di ragazza dai capelli biondi
(sempre a passarci in mezzo le dita)
e rideva e ridevano i suoi occhi verdi.
(I suoi occhi verdi la nostra passione)
che a raccontarlo si parlava per ore
(e ne parlavamo, eccome, se ne parlavamo)
ed io, che avevo strapazzato quel cuore,
io, lo posso dire. Io, che avevo guardato
nel fondo del fondo del verde,
del fondo, del furbo, dell’iride che aveva
e si scherzava.

Si ma poi?
Poi sai come vanno le cose,
aveva scelto un altro
(sorrido adesso, ma come rimasi…)
mi aveva salutato con un sorriso d’estate.
La ricordo come adesso quell’estate.
Forse l’ultima estate del sole che si nascondeva
tra i grigi mischiati dalla scogliera di Nervi,
dove la sera scolpisce i ricordi,
tra un rosso-viola di un sole al tramonto
che i pittori siedono e lo fermano lenti,
sulla loro tela.

Si ma lei?
Adesso ti racconto.
Ricordo si perdeva nella folla disordinata,
e si voltava dalla passeggiata, salutandomi,
cercandomi tra gli amici e sorrideva.
Io di rimando facevo arrivederci
chissà se mai l’avrei rivista più.
Ma il destino a volte perdona e condona tutto,
a volte scolpisce monumenti di ricordi
e si perde nel tempo.

Cosa vuoi dirmi?
Volevo dirti che li vedi spesso camminare
mentre giri per negozi o aspetti il verde
di una strada principale.
Li vedi trascinarsi pesantemente dondolarsi
nei vortici di un’onda che li strattona
un po’ a destra e un po’ a sinistra.

Li vedi sempre nelle strade e nelle piazze
tra un taxi che suona
e un attraversamento pedonale.
Ti avvicinano per sussurrarti: Ho bisogno di
mangiare...
Tu che rispondi che non hai tempo
che vadano a lavorare (una volta per tutte).
E ti racconti che sei nei guai
e non importa se non vuoi dar niente,
ti dispiaci (per finta) ma non ti importa.
E perché dovrebbe importarti mai?

Perché dovrebbe, in fondo?
Hai già dimenticato il tempo volato
nella memoria degli anni ottanta.
Quegli anni in bianco e nero,
tinti solo di rosso e noncuranza
(come oggi d’altronde)
quando la scimmia dello zoo di Berlino,
si dondolava dalla gabbia di cristallo.

E li vedevi nella notte, appesi
a una siringa piantata nella caviglia
e ti giravi dall’altra parte (già allora).
Domandavano una sigaretta
grattandosi il viso
e un sacchetto di colla nell’altra...
si ma forse, ci siamo dimenticati.

Ma non capisco dove vuoi arrivare?
No, era per dirti che ancora oggi
li puoi vedere a mezzogiorno
avvicinarti per un panino.
Tu vai avanti e non ti fermi.
Non ha importanza e non ti fermi.
Dritto cammini. Che ora hai dei figli,
a cui proibire questo o quello
e non interessa se questa città
anche s’è loro.. non è… la loro.

Quindi?
Quindi ascolta!
Quando l’ho vista mi sembrava impossibile.
Sembrava un incubo
di un mezzogiorno impazzito
da piombo, caduto chissà dove.
Una storia nel vento del tempo,
dal secco strappare
degli anni ottanta, tornata.
Sembrava un cielo caduto
con un tonfo
che distrugge i monumenti
e li sbriciola nel nulla.

Era comparsa coi suoi occhi verdi
ma perduti chissà dove.
Mi ha chiesto qualche cosa da darle
e la sua mano era lasciata andare.
Il suo viso stanco e smagrito
il suo vestito chissà dove finito.
Ho chiamato voce bassa il suo nome,
mi ha guardato ed’è andata via,
chiedendo a un altro accanto a me
la stessa cosa e poi via ancora,
a un altro ancora.

Davanti a me si aprono le porte del venti
La gente che spinge “scusi, ma entra”?!
Salgo, timbro il biglietto, mi tengo forte.
D’istinto mi volto fuori, lì sotto i portici.
L’autobus parte con uno strattone.
Le passa accanto lei guarda dentro
sorride appena.
Io che mi accorgo, che sto piangendo.
Sguardo che dura solo un istante,
inebetito resto solo tra tutta la gente
(come lei d’altronde)
e intorno a me… amico mio,
neppure tu, a sbriciolare con me…

monumenti dal tempo.

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