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Spesso

Troppo spesso, il filo del contrasto

che si tende tra una macchia d’identità e un corpo pieno d’acqua.

L’insistenza da un lato e la rassegnazione dietro l’angolo

niente che possa sembrare di troppo. Di troppo, io

seduta sulla perfetta metà, non riesco più a scrivere

ho nausea delle parole che mi escono fuori

dalle mani, e insieme, se non li lego stretti

escono fuori anche gli occhi, dalle loro orbite

cadono sul foglio

sporcando il bianco con un gel patinoso

che non è inchiostro

ma come un gioco ottico

se mi allontano e mi avvicino

nei contorni di un’illusione

ne esce fuori un atto, che sia ossessione

che somiglia molto a quello che avrei voluto dire.

Non espresso – immagina – senti.

Tengo  a bada i picchi di forza, la gioia di una rotoballa nana

da cavalcare senza pesantezza in uno scambio di ruoli

la metto nel sacco, dov’è anche la rabbia

che non trovo, l’assenza dell’ odio

e i fantasmini che ho dimenticato

tengono compagnia a mia mamma

da quando me ne sono andata

e lei è rimasta sola

che neanche li vedeva, e diceva:

“Che bel cappello che hanno”

e io la fulminavo, con la voce di  Belzebù

no mamma, non ce l’hanno il cappello, non lo vedi?!

E’ uno stato solido di sentimenti intasati che

non troveranno sbocco, se non fra me e

l’avanzo del polline, al centro di un fiore

scoppiato sotto il gelo fermo di Novembre.

Ma alla gentilezza dentro gli occhi non so dir di no

e mi ritrovo un pony sul groppone

mentre io ancora puzzo di latte

il fiore manca di desideri

e  muore.

Tutto ciò che mi da vita

distrugge.

Non venir considerata

potrebbe essere una salvezza

allo stato originario, quando la bocca

non diceva, e  i gesti,  raccontavano

solo a chi era in grado di ascoltare.

E poi sempre la stessa domanda, a ripetersi:

perchè continuo a pensare di scrivere

anche quando sono piegata sul cesso

a vomitare tutto quello che la vita

mi ha messo nello stomaco?

Odio la gentilezza.

Odio i pony.

Con quei begli occhioni dolci

e la criniera che inizia a bucare

quando cerco aspettative e mi accorgo

che sto accarezzando solo, le spine di un riccio.

Troppo spesso, il filo del contrasto.

 

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