Scritto da © sid liscious - Sab, 07/01/2017 - 23:03
È natale un'altra volta, Cricio.
Non c'è niente da fare.
Impossibile d'evitare.
Oramai è una questione quantistica.
Si sente nell'aria.
La predisposizione di tutti converge su determinate tematiche e cambia la normale percezione.
Fatto stratosferico a mio avviso.
Questa è una festività che ha molto da insegnare, Cricio.
No no non Gesù, la Maria, il bue, l'asinello eccetera eccetera. Quelli oramai dovrebbero semmai essere la scusa per capire.
Sì può fare veramente intendo.
Qui davanti abbiamo la prova concreta di quanto, agendo uniti, possiamo intervenire sull'ambiente ed il tipo d'ambientazione.
«Come intervenire, Cappo?».
Insinuandoci fra gli elementi dell'ingranaggio, Cricio.
Andando ad ingrassare dove stride.
O forse perfino facendo ruotare l'insieme con i nostri sogni, Cricio.
L'unione mentale fra individui è un'arma, Cricio.
Io ne sono convinto.
E lei è viva, Cricio.
Va vagando in cerca di stati personali sintonizzati concentrici e, indipendentemente dal fatto le persone si conoscano o meno, riesce a scovarli, ed unirli, e dopo via ancora insieme ad incollare pari intenti e...
Ed allorché gli elementi agglomerati diventano assai assai e prendono coesione impossibile ma...
Ma spostano l'atmosfera, Cricio.
Spostano l'atmosfera.
Ne cambiano gli equilibri tra i vari componenti e se necessario la rivoltano pure su sé stessa.
«Peccato gli individui vadano, ciecamente, per i cavoli propri e non combattano mai totalmente le battaglie causa...
Causa presunti bisogni che nascondono privilegi cui non s'è disposti a rinunciare, vero Cappo?».
Peccato sì, Cricio, e peccato soprattutto non avere armi contro codesta tendenza, che io però chiamo malattia.
Trascorrono i millenni e siamo sempre meglio divisi.
E nessuno sa che fare ovviamente bensì tranquillo, Cricio, ora sono arrivato io.
Lo che sa esattamente cosa non fare, Cricio.
«E cosa non facciamo, Cappo?».
Una volta sono andato al natale degli sfigati, Cricio.
L'avevano organizzato i senza tetto, gli sbandati, i drogati, d'una mensa pubblica patrocinata da un'associazione caritatevole.
E l'avevano denominato così di persona, non è una mia presa in giro.
Ed avevano fatto le robe in grande, Cricio.
Striscione di benvenuto, cenone ricco, buon vino e scenografica vestizione del sotto cavalcavia.
Veli e tende e fuochi a ricreare intimità, in cui ognuno poteva inserire il contributo desiderato.
Ed erano arrivati addobbi impensabili, Cricio, ed un invitato apparve con un albero di natale particolarissimo, Cricio.
Dovresti averlo visto.
Un piccolo ciccione e sgangherato pino, di cartapesta, color verde variegato, alto un metro e retto su piedi calzanti stivaletto rosso, dai cui fianchi, del pino intendo, un po' dopo la mezz'altezza dipartivano due striminzite braccia che, mostrando inadeguatezza infinita, tentavano di reggere, di scheletriche mani e nulli muscoli, l'unica decorazione prevista, Cricio.
Un'enorme pesantissima palla fosforescente.
Tre metri e venti di diametro, Cricio, ed incollata in equilibrio perpendicolare appena sopra la punta.
«Simpatico, Cappo.
Un artista?».
Te lo ripeto dovresti averlo visto.
Il corpo dell'albero stava praticamente pressato al limite dello schiacciamento e da un attimo all'altro pensavi avrebbe fatto la fine di caldo budino versato sul piano.
I tronchetti fungenti da gambette mimavano aperta e chiusa parentesi tonda ed il tipo, non contento, aveva messo inoltre degli occhi ed una bocca, peraltro piazzati benissimo, estremamente sofferenti.
«Una rappresentazione sarcastica della situazione dei festaioli, Cappo?».
Sì, Cricio, e quindi di ciò che non si deve fare, Cricio.
Assolversi con auto ironia.
La panacea dei problemi più demente, insulsa ed insensata che ci sia.
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