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Orione ultima poetica quantistica

Orione: Veduta ultima, poetica quantistica
Mentre le onde si rifrangevano contro le sue caviglie, nel mare color farfalla di Mileto, il pescatore, il vecchio Protagora, colui che ci avrebbe tratti in salvo su quella strana barchetta adagiata sulla scogliera,  colui che avrebbe rinchiuso le porte alle nostre spalle cercando di salvarci dalla catastrofe, cantò.
Era un canto dolce e disperato come quello di Xilia, la ragazza scesa dalla nave spaziale, rimasta con noi fin dall’inizio, quella che imitava tutte le voci e tutte le temperature. La più adatta ad avvertirci della presenza di giganteschi buchi neri nelle zone di confine che ci apprestavamo ad esplorare.
Così come era convinto che ad Orione fossimo, il comandante della nave spaziale, lasciataci sulla spiaggia da Protagora, il pescatore.
Bloccati gli oblò, la femmina si era dovuta stringere tra il cosmonauta maori e lo scandinavo e ciò non aveva provocato in lei alcuno scossone di termo labilità, ma la vista delle dita del comandante della navicella che cercavano di rimuovere alcune goccioline di nebbia dallo stesso oblò sulla sinistra.
Cosa hai visto? Aveva chiesto allarmata
Gocce di nebbia. Aveva risposto lui.
Nebbia… Umidità acqua? come?
Una poesia ascoltata tanti anni fa, in una sosta spaziale. Che mi era piaciuta.
E faceva?
Tanti anni fa…
Non la ricordi? Aveva chiesto l’astronauta femmina sempre più allarmata. Allarmata di cadere o di essere sull’orlo. Come è allarmata una donna nella propria pubertà.
Così si sentiva Xilia.
E il suob coetaneo
mi pare:
…tenera e ostile, chiara e inconoscibile…da questa torre di vedetta. come eri tu allora
 - Acqua. siamo di nuovo sulla terra. Tutta quella sofferenza. Siamo tornati indietro... vecchi di 2300 anni... insopportabile....
Xilia contrasse ogni pulviscolo di sé. E gli si sciolse addosso.
Scusani.Torniamo indietro cioé avanti...
 
 
 

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