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Tanka

Sciolta la neve,
felice primavera
bussa alla porta.
 
Esulti cuore se odi
l'usignolo cantare.

Leggerti gli occhi

leggerti sempre negli occhi
quello che sento sgorgare
dai miei umidi spalancati
mentre in nudità frementi
seduti di fronte ci teniamo
per mano per avvicinarci
lentissimamente cosce sulle
cosce ad approcciare i fiori
ognuno turgido a suo modo.
approssimarsi per raggiungersi
lo sfiorarsi appena è brivido
incantato di rugiada che scende
dolcemente la schiena o il petto
fino al concavo tra noi chiuso
lo stelo nella tua corolla madida
le mani le braccia sono liane
avvinghiano i torsi viepiù
finché il rito gioia e paradiso
non sia sommo.
 
 

Memorie di un verme

Striscio come un verme che divora la terra,lasciando dietro tutta la clinica armonia racchiusa nell'essere artificiale.

 

Striscio come un verme sottoterra dove aleggia una calma sperimentale interrotta da scariche elettriche sputate dal cervello che rigetta ogni tipo di realtà

Striscio come un verme nelle vene uscendo dall'epidermide a osservare le ossa spolpate e bolle di sangue che esplodono spargendosi sulle lamiere.

Striscio come un verme sull'asfalto bagnato e osservo la decadenza della mente incrostata dalla corruzione.

La danza macabra collassa il destino di chi ancora ci credeva. Ma ora restano sepolti. Restano sepolti dal nero degli occhi di chi sa guardare il lato differente.

Come aghi conficcati nell'anima che inchiodata al palo implora perdono al possessore che deluso reclama una giustizia irrisoria che lenta svanisce in nuvole di odio.

Ma io come un verme resto sotto il sasso ad aspettare tempi migliori.

 

Il marinaio e Poseidone

«Lasciami vivere, Poseidone!
Placa la tua ira
che mi fradicia e travolge
sbattendo e lacerando le vele
riempiendo di sale le ferite che m'inferse
                                                     [la vita
per la sola colpa d'essere con lui,
Odisseo dalle mille astuzie.
 
Lui s'è vantato di aver fatto tutto da solo,
lui ha accecato tuo figlio Polifemo.
Io ero solo lì,
un marinaio bruciato dal sole
che nessuno protegge o sostiene
: né un dio né un umano.
 
E adesso mi sbatti come un fuscello
sulla nave che beccheggia impazzita.
 
Ho paura di questa nera distesa
che mi vuole inghiottire.
 
Oh, potentissimo dio,
risparmia la mia piccola vita.
Prendi lui non me, te ne prego.
Ché io non ho colpa
né potevo fermarlo.
 
Salvami, salvami
fratello di Zeus, dio dei profondi abissi!»
 
Così pregava il marinaio di Ulisse,
ma l'onda lo travolse e l'uccise.
Nessuno conobbe il suo nome,
nessuno cantò la sua storia.
 
Non sfidò, non vinse, non visse.
 
Poseidone l'affogò nel mare
: noi lo condannammo all'oblio.
 
 

Sia dolce

Che ci sia dolce
questa quaresima di cielo grigio
nel silenzio purissimo
che spira tra i rami
dei miei pini marittimi
 
Che ti sia docile oltre i versanti
che ancora e sempre ci separano
questa distanza
che pure non è mai né vuoto né silenzio
e a me è rimasta
(mentre tu sfiori grani di rosario)
soffio di brividi ai capelli
vita segreta e linfa nelle mie radici
e di te sempre alla mia carne
parla
 

Un calamaio ...

avevo paure e timidezze
sprofondate nelle tasche
di calzoni ancora corti
compagne di tomaie
sbucciate da sassi presi
continuamente a calci
nel peregrinar per anni
aspettando di crescere.
ora estratte le dita l'unghie
intinte nell'inchiostro della vita
un calamaio di emozioni
che si andava prosciugando
scrivono di sogni sognati
da dietro la finestra
con gli occhi persi
nelle nubi che passavano.
 

Cose Così [di gelso]

Ha le ali impolverate di gelso, la tua farfalla rosa, e gli occhi verde lago incastonati nell'argilla. Vive per nutrirsi delle tue parole, s'abbevera alla fonte incollandosi. Nei valzer di vento e pioggia, piroetta fradicia e orgogliosa, impettita guarda avanti, e avanti ci sei tu, con i mazzi di rose negli occhi e il profumo che sai. Sei tu, ossigeno ed acqua, il sale, il sapore dei giorni decorosi. Togli il respiro e lo ridai, ondeggiando negli azzurri e fra le pieghe.
 
                                                                                               Manuela
 
 

la solitudine non è un vezzo

da un portone
il vissuto
bussa
toc toc,
e tu non apri.
che mai sarà,
ruggine?
no, è scoglio minimo
della presente frana
che  ostruisce
lui d'impeto vorrebbe
rapirti, con rudi spallate
ci prova
tu per non crear danni
ai cardini
accosti
ma non vuoi
aria e creare
magie occulte
e con fare cortese
non neghi il passo
ma chiedi il rispetto.

E' prima_vera

 
il biancospino
dimentico della neve
alla quale ha rubato il candore
spumeggia al limitare

Libera la notte

 
palpare la notte
quella realtà che sola
nei sogni ti consola
e nel giorno di tutti
appena ti sfiora.
toccare col pensiero
dalle lunghe falangi
il più irraggiungibile
dei desideri dacché
sempre siede sulla forma
ogni spontaneo slancio.
 
 

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