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Ricordi di carruggi.

Andando per la città vecchia, quella popolana d’una volta, la vera urbe portuale, si respira l’atmosfera umida, gravida di odori d’umana vivenza e salmastro, bitumi, vernici, opere portuali, che fa del carruggio l’elemento genitore dell’habitat cittadino genovese, più delle piazze, viali e residenze patrizie e nobili. Tra mura di casamenti stretto, che lo riparano da libeccio, tramontana e maestrale, apre la bocca ai moli d’attracco, vicino alla banchina a bagno nel mare. Le colline a ridosso , hanno limitato e reso angusto lo spazio utilizzabile, squalificato perché necessitato di impiantarvi cantieri, fondachi, botteghe di artigiani carpentieri, nonché abituri di maestranze e marineria di terra e di bordo. Fu nido, rifugio di gente presa ogni dì, dal vivere e sopravvivere pregnante presenza organica della città antica, feudale; linfa insostituita e insostituibile della potenza armatrice marittima dogale. Ora è un luogo vecchio, lì da sempre e ancora e sempre riparo di precarie esistenze, emarginate, escluse. Racconta tutto il suo tempo, nei lucidi selci, nelle ombre di certi anfratti, angoli fuori vista, pregni di sentori acidi di corporalità espulse. Gli sbreghi sui muri e l’incuria edile, sono ancora, più atmosfera che colpevole trascuratezza, segnali di precarie economie personali. Fondi nobili per attività antiche, oggi mal sopportate, divenuti bettole ricettacolo, ristori pregni di effluvi quasi domestici, acri, di tabacco, vino, fritture e fiato umano. I cento bettolieri, avvicendatisi, li hanno lasciati intatti : un po’ di calce alle pareti, agli stipiti di ingresso. Suppellettili e muri graffiti da mille ricordi: nomi, luoghi, ex voto, promesse o semplici danneggiamenti.

Fortissimamente volli

Voglia di neve
Voglia di mare
Voglia di partire
anche senza saper dove andare

Voglia di miele
Voglia di sale
Voglia di star bene
tra le braccia di un amore reale

Voglia di fatti
Voglia di gesti
Voglia di poche parole
e pochi pretesti

Non voglio mica la luna!

Voglio solo trovare il modo migliore
per scoprire il mondo
e arrivare al tuo cuore!

Via lune_dì

Dedicata alla luna che amo
è la giornata della solitudine
della tristezza
della mia impotenza.
Piango sempre di lunedì
e sono tristissima
sola sempre sola
odio il lunedì
spegnerei questa giornata
che serve a farmi soffrire.
Una sera di lunedì
mi sono anche ubriacata
(confessione tremenda)
contemplando la luna
cinica e impassibile.
Poi il lunedì finisce in una notte
segue un nuovo mattino
diverso
torno di nuovo io
con la voglia di vivere
e sorridere.

Non sai perchè

Arriva sola
non la chiami e non si annuncia
se la interroghi non risponde
spunta non sai da dove
è una spina che ti strappi
è un languore che ti prende
un dolore affogato
un rimpianto che affiora
ti sfiora come una carezza
ti ferisce come una lancia
scende non sai perchè
tiepida sulla guancia
è una lacrima sincera.

Contrabbasso erotico

quel contrabbasso insistente
nell'ultima di Norah Jones
che liscia carezza la pelle
come una lieve camicia estiva
quando ti agiti nel ballo
solletica un viaggio erotico
dissotterrato ma, evidentemente
soltanto sopito e allora torna
tu che della gonna di seta
facevi girandola corolla giostra
scoprendo le pudende e il pizzo
e nell'impeto mi urtavi contro l'inguine
con la tua carne profumo di selva
soda e morbida, turgida e soffice
per ridere d'imbarazzo a perdermi
in un quasi orgasmo.
Norah Jones - Chasing Pirates

Crescere

 
 
Pronto
son corso

a spaccarmi gambe
Implorando sangue
ed inghiottir le lacrime
Ho raccolto
gli urli strazianti
e soffocati in vita
Da
non poter chiamarti più
mamma
 
 
 
 

Ferite di lontano

ora, proprio ora
Lennon sospira Imagine
dalla radio
ed io dall'anima confusa
subito languo.
sarà che questo mondo
mai più tondo, dove
le ferite che di lontano
vengono a sanguinare
su questi marciapiedi
cercano conforto
che non viene
non mi contiene.
tutte le ossa crepitano dentro
quasi per uscirne
e mi cadono le braccia
sfinite, lungo i fianchi.
 
 

Lui vestito di lei

 un assillo come una malattia incurabile
un progetto lungo una vita intera
una tortuosa stradicciola di montagna
interminabile e misconosciuta che
pochi sanno forse percorso goduto ma
del quale tutti parlano cantano piangono
o - come me - aspettano da sempre pur
avendone sciupato molto e molto avuto
vestito di biondo o bruno e rosso tiziano
ma, è ancora qui che l'aspetto, come dose
indispensabile a farmi campare
ancora bene.

Tutto muta a guardare da fermi.

Penso all’angoscia che ogni cosa debba
essere fatta per tempo. Al contrario direi del tempo
che non può essere per ogni cosa; dunque, perché?
Se sfoglio una margherita
al ritmo m’amo non m’amo, quante volte mi sarò amato?
Non avrà forse avuto tempo il disamore?
Così sto, meccanismo fermo del paesaggio
dove tutto muta,
pur rimanendo uguale l’alzata del velo, una sera.
 
E’ così lenta che tarda a venire la notte;
per prime le stelle,
piene di sé che un cane risorto lupo non le infuria:
solo io, solo, mi acquatto nel vetro, riflettendo una diversa idea.
Veloce - e devo esserne rapito -
più veloce di qualsiasi illuminazione divina
forse una diversa piega,
forse l’idea stessa del sollievo;
 
e intanto tutto muta
tranne il tempo
che ci volle.

lui-tu

 

Avrei voluto ferirti stasera
sfregiarti, colpirti
Porgere la guancia a lui
per scudisciarti  il cuore
Poi quello ha parlato,
e non eri tu,
e parlando mi ha smagliato il cuore,
non come fai tu,
-sono un uomo-diceva
 
Un maschio ti chiude la bocca
e non chiede permesso
Non eri tu
 
Ho smesso di sentire e sono andata via
mi sarei fatta male
Poi ho pianto

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