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Occitania (e rimane un campo di ortiche)

E' terra violentata, questa.
Nuda, grigia terra di roccia
aggrappata
con artigli d'aquila
a cielo. A neve.
Spavento di montagne,
suoni d'altri uomini
che furono risate,
amore.
 
Pietre su pietre
-che pure erano case e vita-
inerti al salire
di spine e nebbia.
Abbandoni di suoni,
ghironde senza corde
appoggiate
al tenue odore
del pane sfornato.
 
Non rimane scopo
o memoria,
soltanto segni
tracciati su rocce
da mani antiche.
 
(come estrema parola,
gesto d'inutile difesa)
 
Solo questo silenzio
che urla
-nel liquido dell'aria
fredda di gennaio-
al dio lontano
di quelle inutili stelle.
 
Non giocano più
i bambini in quei cortili
che ora sono
un desolato
campo d'ortiche.

La mia stella

non ho più stelle
nel mio firmamento
solo sparute code di gas
o di cristallizzati elementi.
nulla da cavalcare veramente
farsi trascinare appena
in un turbine inconsistente
racimolando lembi di passioni
più dalla memoria che dalla mente.
gli occhi lo stesso lassù mirano
costanti e non arresi a sognar fintanto
quel che resta dell'astro sia spento
tutto quanto.

La margherita

Sfoglia con me questa margherita
ogni petalo un bacio
m’ama non m’ama
e una carezza
il vento ci porta lontano
corriamo sull’erba
verso il sole
è l’età dell’amore.
Il tempo corre
sfogliamo ancora margherite
m’ama non m’ama
e poi? ancora un bacio
ultima magia.

Formiche in chiusa.

Quando il peso del frutto spiegò il concetto della leva
di terzo genere - si badi - del terzo genere
noi tutti dal suolo esclamammo: oh!
finalmente si capisce il profilo del pianoro,
laddove si poggia il fiume
e piega la luce
il sonno.
 
Speculammo sull’ipotesi che tutto abbia un senso,
prima che il vomere annudasse larve
schiumandoci ai bordi;
 
qualcuno pronunciò: si è fatto tardi
per sapere;
così noi.

Solo

Naufrago vago
in insolito luogo
dove nuoto nel vuoto
e nel nulla sto a galla
Sono un’isola e navigo
nel mio mare di niente
pesto passi in abissi
e in  crepacci ho i miei occhi
Frequento pensieri
confusi ed immensi
odor ore e silenzi
odo oblii nei ricordi
 

a ripensare a quell'ora del giorno

....a ripensare a quell'ora del giorno che si arrossa
il sentiero che scivola via nella campagna, la luce calda  sulle spighe abbandonate e il silenzio incrinato dall'inseguirsi dei calabroni. correre, correre, correre verso il mare della sera, il mare senza gente e senza ferite, il mare degli amori. le onde che arrivano irriverenti perchè non più oltraggiate dai motori. le onde che non si fermano mai. quella grande acqua che possiede l'irruenza e la calma allo stesso tempo. la sua potenza.
si, ora so che posso chiamarla così, potenza. forza. un abbraccio immenso che mi scivola intorno, mi cinge e mi lascia e mi riporta a te come fossi sabbia. piccola, leggera, poca e tanta, senza peso e senza rifiuto. lo posso fare, lasciarmi andare...
 io sottile, io fine, io leggera, io sciolta fino ad evaporare e diventare mare. le ombre della sera si allungano come noi in marea. senza gente e senza mondo che ci chieda, che ci trattenga, che ci faccia essere meno di ciò che siamo e di più di ciò che vogliamo. noi acqua, sabbia, grandi e piccoli, fini e immensi, irraggiungibili nel mare della sera.....

New York, New York

                                       A mia madre
 
Com'era bella la skyline
da Staten Island
e dalle colline del grande Gatsby
al di la' della baia
 
si passava vicini ad Ellis Island
ed alla Statua della Liberta'
ma erano i riflessi di viola e d'oro sui grattacieli
che rapivano lo sguardo
come calamite liriche su
fino in cima al tetto del mondo
 
le torri gemelle:
vi salimmo, ricordi?
ed io sentivo l'orgoglio
d'averti portato sin la'
a te, cresciuta nel mito della grande mela
dell'america di liberatori e
ballerini di rock&roll
 
tu ti sporgevi
dalle terrazze vertiginose
ed io immaginavo di vederti volare
planare
           ad ali spiegate finalmente
su quel panorama infinito
 
sorridevi del mio stesso sorriso
mamma,
mentre facevamo colazione da Tiffany
ridendo delle donne imbellettate
che nulla sapevano dell'eleganza di Audrey Hepburn
 
e l'orologio comprato
a Chinatown per due dollari
che ostentavi con tanto orgoglio
 
Una volta camminammo
per le strade del Village
mano nella mano come due ragazzine
 
era il tramonto
e nei tuoi occhi splendevano pagliuzze d'oro.
 

Un applauso scrosciante

 
Avrebbe voluto anche lui un applauso scrosciante. Di quegli applausi dedicati e straordinari. Di quelli che spellano le mani a chi li offre e riempie le orecchie di chi li riceve tanto da non voler smettere d’ascoltarli e non sentirli cessare.
E lui nonostante i suoi anni e i viaggi percorsi e chissà quali emozioni, vittorie e sconfitte, non li aveva mai ricevuti neppure una volta, neppure una stramaledettissima unica volta.
Magari quell’unica volta, ai tempi d’oro, quando in piedi sopra la cattedra all’università urlava come un ossesso per chissà quali motivi e smuoveva emozioni.
Oppure quell’altra volta che, da bimbo, era uscito indenne da una caduta improvvisa tra gli scogli finendo in una pozza d’acqua e ricomparendo qualche metro oltre, in mare aperto un po’ più in là e la felicità nei presenti aveva fatto esplodere l’applauso. Ma non erano la stessa cosa.
Il primo era un applauso di claque, qualcosa di mansueto che avvolge i partecipanti alla stessa minestra e li fa sentire accomodati alla stessa tavola. Il secondo di chi improvvisamente si sente sollevato da una tristezza che poteva sconvolgere in un solo istante e per infiniti istanti a venire.
Avrebbe desiderato un applauso scrosciante di un pubblico ostile, sino a diventarne l’amico intimo e profondo, che contro tutto e tutti aveva dimostrato il talento e quei tutti avevano dovuto riconoscere in mezzo alla contrarietà della sorte avversa. Anche quel mattino non arrivò l’applauso.
In ufficio la mattina sembrava come tante altre. Un passivo ingresso di saluti sempre identicamente uguali a quelli del giorno prima e a quelli che sarebbero stati identici il giorno dopo.

Vuoi vedermi sorridere?

 
Soltanto a fare il tuo nome
mi trema la voce ogni volta
l’amore mi fa brillare gli occhi
perdendosi nei tuoi
una parte del tuo viso
entra nel mio cuore
una giostra di sensazioni
si appropriano di me.
Incespico nei pensieri
della notte che gira lenta
al suo quadrante inesorabile
volato via con te
e che vorrei fermare
che non si fermerà.
 
Dimmi che senti i miei passi
accanto ai tuoi
dimmelo e dimmelo urlando
perché voglio sentire la tua voce.
Non mi bastano i tuoi sorrisi
non mi bastano i tuoi “amore mio”.
Dimmi e urlami
con tutta la tua voce
che mi ami come la prima volta
dimmi che anche tu
quando mi guardi
senti le gambe che non reggono

Soffi

Di soffi dentro
di volti chiusi all’anima
di sogni estremi
nascosti ed infiniti
oggi ti canterò
ti sentirò
ti vorrò dire
dolce come uno sguardo d’ambra
mi entrerà dentro tutto il tuo sapore
come di giorni chiari
nuovi
aperti al vento
di ogni dove.

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