Oro et laboro d'amore
Ti adoro odoro mio oro di vulva
cerbiatta ai prati d'inchiostro saraceno
mia torre del libano intrisa
di magma di rame schiumoso
feltro d'astarte
esanime mi induro
e odoro tuo oro di schiava razziata
mantide del mare
che in ossimori di fiati
pervade mio lavoro
il mio sordo cantare
da grondaie d'amore.
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Ossesse razzie
Anguilla divincolarmi tra umori
tramonti di savana e accenti
di battaglia e buriana
e premerti con mio petto e mie fauci
tra le erbe irrorate
della tua ispida vibrazione
bagnata
pregna di deliri sgrammaticati
appettiti di fauno e di ninfa
d’arsura febbrile
simbiosi elettrica tarantolata
strimpellarti tutta a soggetto
su spartiti di tuoi gemiti celesti
e tue cosce predatrici
dettano leggi cosmiche di nembi
carichi di onda e tuono
pungerti e attraversarti è carità invocata
folate norrene e unniche razzie
su impero di carni pallide in disfatta
dove il fianco è densa crema
dita, lance vi si conficcano
come a tesori di salato sudore
aspersi d’oscene ambrosie divine.
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Aetos
Vorrei un giorno di refoli di luce
d'azzurri spasimi di niente
e planare su nuvole
gonfie d'elettrico e d'immenso
aquila
dominare cime e urli di baratri
con occhi che sanno
l'orrore e la bellezza
della storia
berlo, il calice
come un andare a scontro di schiere
a bolgia
di furia ed amore
a dolore attraversato
e vedere.
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Chihuahua. Facebook Short Posts
Ezio: "Stringo i tempi". Passato remoto: "Siamo al golpe". Futuro anteriore: "Clima soffocante". Imperfetto: "E' un giullare". Di Pietro: "Io a quello lo faccio nero". Nota del Quirinale: "Abbassare i toni della polemica. Dialogare in un clima civile. Trovare valori condivisi".
La carne è debole. E il pesce non sta messo molto meglio.
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Joaquin Sabina - Inventario
los pájaros que anidan en tus manos,
el hueco de tu cuerpo entre las sábanas,
el tiempo que pasamos insultándonos,
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Le sere che
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Se l'Ikea è un terno al Lotto
che se non ci fossero tutte queste gocce di vino
e calcio totale di formiche sulla fòrmica
e briciole a grumi,
e schizzi di agrumi
su salviette debosciate
quasi a ricordare una ricerca
un ready-made
e spengo il televisore
perché cioè
quattro volumazzi in-folio
un Topolino e un Dylan Dog
sono troppo
a saturare questa prima impollinata di primavera
e io ci ho tanto da fare
ci ho multe da pagare
e da finire la collezione delle figurine Panini
qualche foglia di insalata
per creare il consenso e abbassare il colesterolo
che ci dobbiamo sfruculiare sta pinnacola
e lussureggiare su un Paroliere
e poi contarci scogliere
eczemi sul sedere
e sborate di foto vacanze
affabulare su lungospiagge
e sullo charme dei sceicchi
e i fighi delle Figi
e un Ibiza di sfizi e divieti di dormire
o di morire
con pearcing, petting, footing e Wyoming
che tu li fotti sempre a tutti
gli accendini
cazzo di clepto
anche se è un terno al lotto
che striminzirici su questi spazi Ikea
che ti sfarinano l'idea
che ti allontanano dall'Idumea
e che non ti ricordi più chi era
Lorenzo Lotto.
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Starry Starry Night
di lotte di classe
sul cinquino e sul calesse
modernizzazioni
dive pornografiche
morti di utopia
stili corinzi
estenuazioni da tardo impero
depressioni maggiori
ed estati alla van gogh
come marilyn e sylvia plath
spezzando carotidi
a madri ossessive
che ti uccidono di fuoco amico
ho attaccato a danang
sono affogato in un letamaio
nei pressi di sarajevo
mi godo il bagaglino
di un'equivoca apocalisse maya
sborona kitsch e sanremese
sorseggiando all'harry's bar
con rottami d'oro
e le carcasse degli dei di jung
con occhi che conoscono
the darkness in my soul.
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Il ciottolo
dice a volte
che non ha esito
questo frastaglio
di velleitario pensare
nonostante la vita.
sonaglio
che ti frastuona ai cristalli
di lustrata sinfonia
fin dal mattino.
incantesimi e perdite
continui
screzi e insulti
a pigro supporre.
su un'acqua cheta
e vedere come butta:
cavalloni o rigoli
bottini od occasioni
rinascite
o catorci di tedio
domenicale remake
palinsesto estivo.
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Il selvatico Antico
carezzava la ghiaia e il prato,
innamorato
d'aria malarica di palude.
Passava accanto a topaie,
cantine che sapevano di muffa,
di sale, di salumi.
Tentava la cattura
della rana dell'anguilla del granchio,
il ginocchio affondato
in palustre melma,
lubrica e accogliente, possessiva,
tiepida.
Ignaro,
felice,
senza lessico per dirlo.
per meandri morbosi,
l'inguine urlante di chissacché.
con avi sepolti lì vicino.
Era l’anguria, rossa di festa,
ingozzata per sfida,
con ardenti fauci succhiata:
una mischia, una gara di
acqua piscio e zucchero.
da enormi, orgogliose pantegane.
La matriarca, era,
che negli occhi infilzava
forbici
a galline e conigli;
sgozzava e scorticava
con dolcezza e grazia di nonna,
tutto un sapere di secoli
bisbigliato e rubato tra gli alari.
attorno a urla di maiale
e a cipolla con sanguinaccio.
Il sangue fluente, caldo,
su vasca di legno,
libagione
a preolimpici benevoli Lari,
benedicenti già prima di avere.
E i celesti occhi del bambino,
immobili,
da erotica sacrificale furia
ipnotizzati.
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