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blog di Ezio Falcomer

Diario del Che in Sicilia / 2

“Capitolo 13/60. Matelico o Spacchiuso?”
Dove, davanti ad arancini al burro e a un pane alla milza, da pastiddaru di Siracusa, cugino catanese acquisito tramite ex moglie chiede provocatoriamente al Protagonista se è un vero matelico o solamente uno spacchiuso. Il nostro, disorientato, telefona ad Andrea Camilleri, per chiarimenti.
 
 
“Capitolo 14/60. Anagrafe tattile”
Dove il Nostro prende contatto visivo e manuale (nel senso di “strette di mano”) con le piacenti signore presenti nella Struttura Ricettiva: mamme, animatrici, amministrative e cuoche. Quella che, in un’accezione di rozzo, bieco e deplorevole maschilismo, potrebbe tradursi col termine di “fauna”. Il Picaro non manca naturalmente di registrare, seppure a fatica, i nomi di padri, animatori ecc.
 
 
“Capitolo 15/60. Cinquantenni posati e maturi”
Dove il Che, constatando la presenza nel Locus del non esiguo numero delle circa-trentenni, tenta di autoipnotizzarsi con un mantra ricavato da una battuta di Sean Connery nel film “The Rock”: “Sono troppo vecchio per queste cose”. E pensa di averne abbastanza, ormai, delle near 30 per rimettersi nei guai.
 
 
“Capitolo 16/60. Vanitas Vanitatum”

Diario del Che in Sicilia / 1

“Capitolo1 di 60. Decollo”
(Agosto, Anno del Signore 2009). Dove si narra rocambolica vicenda picaresca, in cui improbabile Pater Familias, dalle brughiere della padana Northumbria, accompagna figlia Unigenita, scaturita dal Millennium Bug, nella remota terra dei Sicani. Dove si viene inoltre a sapere che il Pater Picaro è affetto da devastanti disturbi anarco-liberali e individualisti e da cronica distrazione, la quale ultima pare geneticamente propagatasi alla piccola Picara.
 
 
“Capitolo 2/60. Ipercinesi”
Dove immediatamente il Che, ovvero il Pater, pianifica la stesura del trattato “Lo zen e l’arte di viaggiare con i figli piccoli”. Stenografa su busta di pane il primo capitolo: “Ipercinesi e taylorismo dei bisogni”. E anche il terzo paragrafo: “Le risposte del pranayama”.
 
 
“Capitolo 3/60. Latitudini”
Dove, di sfuggita, il Nostro rileva quanto le donne del Sud abbiano i chakras ben allineati.
 
 
“Capitolo 4/60. Dialettologia e fonematica afrodisiaca”
Dove l’Eroe medita sulla propria nozione di Sud femminile, concludendo che il suo sentore di Sud parte dalla dorsale appenninica tosco-emiliana, in quanto ritiene che gli accenti gallo-padani abbiano purtroppo minore sex appeal rispetto a quelli dal toscano in giù. Infatti si prese come moglie (ora ex) catanese immigrata al Nord.
 
 
“Capitolo 5/60. Romagna mia”

Oro et laboro d'amore

Ti adoro odoro mio oro di vulva
cerbiatta ai prati d'inchiostro saraceno
mia torre del libano intrisa
di magma di rame schiumoso
feltro d'astarte
esanime mi induro
e odoro tuo oro di schiava razziata
mantide del mare
che in ossimori di fiati
pervade mio lavoro
il mio sordo cantare
da grondaie d'amore.

Mandarini d'oblio

Prendimi prendimi
raccattami ai bordi di questa strada
ti farò sghignazzare
le narici baciate da un aglio e olio
perché il mistero di averci
di risucchiare il tempo come idrovora
è una cosa incredibile
come una luna incisa su un blu cobalto
i cazzeggi di un amore dove fa male staccarsi
un gioco di resistenze studiate
di rocche espugnate, di rese
mangiare mandarini e sputarci contro i semi
morire di gelosie assurde
logorarci di intarsi di baci
linee impazzite di un al qasar
labirinti dove il piacere inietta l'oblio dell'ora
libertini esclusivi
malati di feroce e dolcissimo possesso.
 
(febbraio 2009)

Gran Via de Madrid

Si sbelicano di luci
efelidi di folla
la polpa di adamitica polvere
nelle umide sere dei magi
è calda questa polla
di caos calura lojura
evade mia canzone
da lordura
e da altura eremitica
come un lorca rinato
dalla cura della Storia
nello struscio agorafobo
ti bacio ti calmo
col mio mantra di carne
mi perlita de labuan, rebelle
allo sterco di trono ed altare
mio rosario di allegro martirio
corsara di cuore e di pelle
guernica dove piove la gioia.

Il piacere e il sapere, mistero sacro

Più della mente la pelle ricorda
fruscii cascata frutti polpa
cunicoli e anfratti ricorda
radure
piccoli laghi
lune e maree
flussi di vita e morte
paure degli avi o vivi pensieri
eroi impudenti
che risvegliano
passioni sopite
dimenticati segreti
rose viola
intricate di morte o passione
e di magia
profumo di iris
che cattura accende rapisce ammala
che guarisce
scavarti
tradirti con la tua voglia
e falce aratro pala dissodarti
riempire di me il tuo vuoto
riaccendere
la forza che dimenticasti
costante brutale dolce
dissetarti e infuocarti
mangiare e bere di te
percorrerti
con gli unguenti dell’inquieta volontà
come serpenti nel loro nido
o radici avide nella zolla pregna
attorcigliati e indistinguibili, noi
come onda investirti
di spuma ridente
lavare la tua notte
e come mostro marino
succhiarti indietro nell’acqua abissale
spazi aprirti o socchiuderti
infantile ebbro annebbiato
condurti
nel mistico e nel selvaggio mistero
porta o stipite del tuo sé profondo
rifarai amicizia
con Ecate e Persefone
i tuoi occhi lame nel buio
inquiete falene
sirene del piacere e del sapere
ti investirà la tua energia antica
riprenderà di te possesso.
(estate 2007)

Vigilia solstizia

Impepata cozza
su un grecanico di strenna
brodo primordio di gamberi argentini
bollisca
la voglia di maniaca parentaglia
plebaglia adorata
nipotame e figliame canaglia
il caciucco a modo mio
lo rifilo a un ghenga di cayenna
infida e sciroccata
bolliscano le mamme apprensive
in mia broda infera e lucifera
le suocere ossessive
le cognate compulsive
i flesciati cugini
i patres, circoncisi o filistei
pace in terra ai demoni solidali
di mio
saltimbanco antropofago
pentolone

streghe di macbeth, all'arme
a mezzanotte
champagne e molotov

bruciamo il carrozzone.

(24-12-2009 diciotto e dieci ora locale
roger a tutte le unità operative d'incursione)
 

Brezze di brace

Sfrigolio di parole
da brace escrescenti incandescenze
divelte dal buio o eiaculate
inopportune

sotto, il nulla di questo cielo

procelle vertiginose
baluginio di onde
brividore di ectoplasmi
sensuosi esicasmi

bipolari ciclotimie
di tremuli sintagmi

attinie gorgonie e gasteropodi
su un reef di un blu alchemico
sospesi

anelanti
al volo nel Mistero
tesi.

L'amore e i girasoli

Dentro te
l'imbroglio
i miei pori subiscono

i vizi e i gigli miei
fascinati dal tuo dono
appassiscono
donando sangue al tuo odore

scandalo di segreto assioma
inizio tossico
di febbre mattana

puttana
giochi tu coi girasoli
miei

tossisco di una voglia vaga
su campi d'amore
entro te
o nel cielo di dei
trafitto da maga

ebbra

nascondi dio fra le tue grandi labbra

 

(estate 2007)

Time-Line, T-Rex e morsi al sedere

Cristo santo, l’universo a bolle è una bella trovata. Tante bolle quanti sono i sistemi spaziotemporali adiacenti. E il tutto fa una schiuma indeterminata. Ogni tanto una bolla esplode e un sistema-universo sparisce. Paf! Collassato dentro la brodaglia caotica. E poi passare attraverso la membrana delle bolle adiacenti, da uno spazio-tempo all’altro, come in "Time Line" di Crichton. Tutto teoricamente, certo. Ma sai che sfizio! Bruciano di vita le cose. Movimento mutazione instabilità. Ogni scelta è un rischio. Ogni possibilità porta in sé anche l’insidia della catastrofe. Bere champagne sul Titanic che affonda. L’orgia in tempo di peste. Certo, anche il successo è possibile. Ma, per chi si compiace del Nero e annovera Poe fra i sublimi maestri, la normalità è un prato all’inglese ben tenuto, con inaspettati buchi-voragine da cui ogni linda e sana Alice può essere inghiottita. La catastrofe si verifica in un lasso di tempo limitato, ha un andamento browniano, ma con una crudele, sublime, estetica progressione. Un rimescolamento impressionante di ogni singolo destino: riconfigurazione di tutti i giochi. Stordito dalla marea vociante dei bambini del parco giochi, poso la penna e vado ad aiutare mia figlia ad appendersi a testa un giù dal trespolo. Lei dice di essere un acrobata. Io le dico che assomiglia a un pipistrello. Lei si arrabbia. Allora io ruggisco e faccio una risata sinistra, fra un T-Rex e Maga Magoo trasformatasi in drago. Le mordo il sedere. Lei strilla, tutti i bambini lì attorno si eccitano dalla paura e, compresa mia figlia, si sganasciano dalle risate e mi dicono: "Lo fai un’altra volta?"
(ottobre 2008)

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