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blog di fabiomartini

La fine dell'amore

Il peggio dell´amore
quando finisce
sono le stanze arieggiate
il passato di rimproveri sordi
la solitudine
come rondini morte
sul cuscino.
Il brutto del dopo
sono le spoglie che imbalsamano
il fumo dei sogni.
Il telefono che parla agli occhi
la sistole senza diastole
tutto senza un padrone.
La cosa più ingrata è
imbiancare la casa
rammendare le forze vitali
condannare al falò gli archivi.
Il peggio dell´amore quando passa
è il punto finale ai finali
quando restano i punti sospesi
… nel sorriso appena accennato.

Il prezzo di quello che perdi è lo stesso di quello che dai.

Ma se una volta.. fosse stata anche solo una volta… una sola volta. In sogno mi fosse arrivato un segnale. Accidenti. Un semplice segnale… Con l’aria di portarmi un amore nuovo. Una novità nel cuore. Io forse non avrei mai pensato di farla finita con questa vita.
E’ difficile spiegare da dove vengano fuori questi gesti. Che se uno ci pensa con calma e cerca di capire non riesce a spiegarselo. Eppure, c’è chi sceglie questa strada. Forse un vecchio veleno del passato, una specie di cancrena nel cuore. Forse non sarebbe mai andato via. Non avrebbe mai voluto se non si fosse sentito solo.
Una volta le disse: accorciati quella gonna, che sembri più vecchia tesoro. Lei sorrise. Quando si ripresentò sembrava una ragazzina e rideva come lui non ricordava da tempo. Era bellissima e aveva quell’aria di chi potrebbe fuggire all’alba dalla porta di servizio e sul bordo del precipizio fuggire sulle orme di Telma e Luise.
Lui lo sapeva. Lei si mosse nella penombra facendo si che la sua siluette proiettasse l’ombra sulla parete e lui seduto sul divano immobile come incantato non le staccava gli occhi da dosso.
Lui che si metteva al sole quando pioveva le avrebbe detto: “amore mio non ti stupire di questo mio cuore che spesso piange l’amore” e forse le parole gli si sarebbero inciampate in bocca preso dalla commozione e poi ancora; “tu sei come una bambolina di porcellana sul divano del salone del castello ed io…. sono sempre stato un bimbo che rompe tutto”.
Ma il prezzo che paghi spesso equivale a quello che hai dato disse mentre estraeva dal nulla una pistola sottile e minuscola. L’appoggiò alla tempia e sorrise. Lo sparo echeggiò nella stanza, sulle scale… l’intero palazzo ne fu avvolto. Lei si inginocchiò davanti a lui piangendo sommessa. I secondi che arrivarono ed io ero tra quelli, vidi i primi davanti alla poltrona inginocchiati per terra vicini a lei che piangeva sommessa. Come davanti alla Pietà lei continuava a ripetere… tu mi hai dato la vita, così me l’hai tolta… non è vero quello che dici… non è vero…
Poi la polizia interruppe la poesia e tutto sembrò identico all’articolo del quotidiano che apparve il giorno dopo… e la gente diceva che pure lei si sarebbe uccisa.
Lei era già indaffarata a pulire la casa che il sogno era finito… un sogno era finito ancor prima di incominciare…

Pietre sulla strada

Il ponte sotto i nostri piedi
scivolava via,
scivolavano le bombe che lo facevano brandelli.
I minareti alla preghiera
chiamavano,
rispondevano i campanili
batacchi sordi
alle stesse preghiere
e noi in ginocchio…
Il mio ponte
il ponte mio
dell’infanzia mia
gettata
al fiume come roba vecchia
e il fiume come una madre
che l’abbracciava
in un tonfo di tuono
e io
che avevo il cuore in mano
e la mia mano nell’acqua
a catturarne i pesci
e di bambino rivedevo
il gesto
io che avevo del mio fiume
il rispetto
dello stesso suo figlio.
Mio padre mi prendeva di peso
e via mi portava
di corsa verso casa
il mio rovescio del mondo allora
pareva il vero
e il vero era rovesciato
e allora piangevo
che il monte sputava il fuoco
e la gente cadeva a terra
nel sangue rappreso restava giorni
vedevo l’acqua
delle bottiglie bucate alla fabbrica
della birra
vedevo
il ponte cadere ed io che mai
sarei caduto... mai.
Impossibile era credere
al cielo che fugge
e Allah che piange
e Dio lo tiene per mano
che l’aria era il pane
e il pane era l’aria
senza neppure l’intenso profumo
sento ancora
i passi pesanti
lungo le scale
disperati gl’anfibi
io nell’angolo
tenendomi la testa
mio padre a difenderci
che lì rimasi
che tante volte ancora
grande che sono ormai
rannicchio il bambino in me
a quell’angolo e piango
per ritrovare mio padre.

Lì fermo mio padre rimase
in quell’istante mio padre
povero padre rimase
contro il mondo
da solo
mio padre
rimase…

per noi...

L’eterna battaglia tra Kronos e Kairos

Erano diciannove da oggi
sei crepuscoli fa.
Tutto si fermò un istante.
 
Kronos seguì il cammino
e io congedai quell’attimo
pensando d’istinto... al rispetto.
Quando m’alzai, lasciai la sua mano
e chiamai il dottore…
 
Poi un frastuono librò nell'aria
ed il vento del tempo scalciò per anni.
Kairos sempre rimase.
E quando voglio tornare,
lì sempre... lo trovo.

Non dimenticarti mai di sorridermi

Il mare è liscio come un coltello
il drago marino emerge
la coda che alza onde e schiuma.
C’è chi l’ha col fratello
per lo stemma della scuola
che lui vuol portare giù
insieme a una vecchia Fender.

“Non dimenticarti mai di sorridere”.
Diceva scherzando.
“Perché io voglio sempre pensarti cosi”.
Era un volto che mi portava via.
Chissà dove, ma così lo ricordo
e lo perdo ogni istante di più.

Un hotel cinque stelle tra le nuvole
un incantesimo, un castello nella nebbia.
Ride lui, capelli lunghi legati dietro.
Occhi chiari e non sembra far male.
Non ho paura, anzi sorrido. Un angelo in cielo.

C’è la punta bianca di un monte laggiù
E poi qualcuno che mi parla accanto.
Eravamo seduti su poltrone in fila
Uno stretto corridoio alla mia destra:
“desidera signore?”
“Un caffè caldo grazie, vorrei svegliarmi sa?
Ma non riesco.... Non capisco più che succeda
la mia città da quassù... ma perché è un bosco?"
“E’ avvolta dalle piante ormai da tempo
come fa a ricordarsi? Sono passati cent’anni
signore e lei ne ha molti di meno, mi sembra”.
“Non capisco più nulla mi manca l’aria”.
“Signore, ma lei riesce a respirare?
Si sente male, signore?”

“Svegliati tesoro! Svegliati!! Svegliati ti prego...
è solo un sogno... amore mio”

La luce del mattino mi abbaglia gli occhi.
Sento le pareti della stanza stringermi le spalle.
Socchiudo gli occhi appena.
Sei qui? Sorrido appena.... e sottovoce:
“Grazie”.
“Di cosa, amore mio?”
“Di avermi riportato giù...”
“Non potevo fare altro che questo, non respiravi più.

E non potevo pensare di restar
...senza te.
 

Breve racconto di un minuto.

Avevano vissuto una lunga parte della vita insieme. Avevano costruito senza domandarsi mai da dove s’era cominciato; senza domandarsi mai dove si volesse andare. Ma negli ultimi anni avevano accarezzato momenti di profondo smarrimento.
Uno dei due un giorno disse, forse è arrivato il momento, spegniamo questa luce oppure perderemo il treno.
Una sola frase raccolse il tempo passato, spazzando via migliaia di cose sfuggite di mano.  C’era solo un pomeriggio estivo che portava la prima brezza.
Scesero le scale guardando i gradini per non cadere. Spesso una vita passata non riconosce i suoi attori e la nebbia improvvisa copre il sole, poi pezzi di guai si posano e schiacciano tutto e voglia di libertà si presenta alla porta.
Pensarono di cantare ancora quella canzone ma si dissero che non era il momento e che il rumore era assordante. Forse tornerà il tempo di poterlo rifare.
Si aiutarono a nascondere quel poco che restava mentre le valigie erano pronte a partire. Tentativi di sorriso stavano appesi sulle pesanti pareti amiche.
Uscendo dal portone lui si girò. Vide gli occhi lucidi nella piccola e ora tremula, figura di lei, trasposizione degl'identici suoi e la vide scomparire dietro alla porta che veniva chiusa.
Quindi attraversò la strada e arrivò alla macchina proprio mentre il portellone dietro si apriva automaticamente, caricò il vano delle due valige piene di quel che restava... e lo richiuse subito dopo.
Lei nel frattempo aveva chiuso la porta. Guardò la strada dallo spioncino e quando lui entrò in macchina e mise in moto, coprì d'istinto con la mano quell'ultimo spiraglio verso l'esterno e vi appoggiò la fronte sopra. 
Un istante dopo, saliva la scala che portava sopra, pensando che fosse soltanto un sogno. Accese la radio e scelse una stazione più chiara; disse tra se che al risveglio ne avrebbe riparlato. Sorresse il vaso che il gatto stava spostando e si mosse verso la macchina del caffè.
Due vecchi amici dovrebbero sapersi capire e loro avevano cercato di farlo. Ognuno dei due aveva pensato che era meglio così; quindi così era andata.
Si sporse dalla finestra mentre l’auto girava la curva. Nonostante le mille ragioni sul tavolo, si mise a piangere sommessa, mentre il cuore cominciava a scoppiare. Disse tra se: ti ricorderò per l’eternità e chiuse la finestra. Riassettando le tendine bianche, intravide la luna lassù che in quel pomeriggio inoltrato faceva capolino. E forse sorrise...
Nulla resterà nel mio cuore così a lungo sino a che il sentiero smetterà di camminare...

"Pendule papier de mais"

Vent’anni
è incoscienza che cerca fortuna
è un amore trovato, la strada, il cemento
il tutto riposto nel gruppo, nell’urlo
nell’esclamativo da vendersi al cielo
al coraggio e al cuore
e l’incendio dei tempi
infiammava il vento
e frattanto bastava a volte "l’appena"
l’amico, il simbolo
quell’ideale e la sua parola.
 
Poi lei camminava tenendomi il braccio
le mani mie in tasca e la pioggia leggera
sull’aria pensosa e un po’ ricercata
di pendule papier de mais.
Mar d’amore e cuor che divampa
lentiggini e baci e il vento che fischia
e l’intento era sempre
stupire i fil d’oro dei suoi capelli
e un vecchio profumo che sempre mi porto
di gesti normali che ancor son miei. 
 
Poi regali d’alba e leggeri vuoti, brevi mattini
rugiada e brina e chiarore del giorno
e sole che scioglie il tempo che sfugge.
Eppure con me è ancora qui
lo stesso, l’uguale, l’identico
penna alla mano e l’indigno scritto.
E sempre percorro tuttora di dentro
gli stessi mattini che allora percorsi
con la differenza inconsistente ma vera
che non sei più qui… accanto a me.

Anno Domini 1181

Dieci anni che il mio filo si fa seta di lana
al colore del muschio verde
nell’attesa guardo ogni istante che passa
oltre il monte e nel profondo di queste valli.
San Giorgio dal pendio dove il verde è più verde che mai
suona una campana lontano.
Tutto si scalda soltanto a sognare che tu
sia lì dove sei pensando a noi.
 
Dieci anni un ricordo che mai si opaca al tuo sorriso.
Ogni anno rinasce ogni volta
nella speranza estrema d’averti con noi.
Capovolgo e ancora di nuovo capovolgo
le ore di sabbia che lenta scende
tra il vetro stretto del canale.
Lune, pollini, soli e foglie di maestrale
a soffiare sulle ventane sfaldando profumi lontani.
 
Verdi primavere sempre stese ai fiori
soffiano i colori della preziosa pietra d'Assiria e Babilonia.
E dalle mille stelle a infiniti orizzonti
perduti chissà dove
la tua voce da Oriente è un sussurro notturno solo per me.
In mille e mille sere rimaste buie
come perse notti fredde
profondamente vissute le ho accanto a te che mai ci sei.

Implemento all'incompiuta dI Max (Liberamente tratta da “Max” di Paolo Conte)

 ……………………………...(L’antefatto)
 
Max era Max
più tranquillo che mai
la sua lucidità…
Smettila Max.
La tua facilità
non semplifica Max…
Max non si spiega.
Fammi scendere Max.
Vedo un segreto
avvicinarsi qui
Max
 
.............................................(L’implemento)
 
Max fammi scendere
questa notte
io resto qui Max.
No, non dire nulla più
sono stanco
questa non è vita Max.
Hai toccato il fondo
se continui cosi
e qualcosa succederà Max.
Pensare non serve Max.
La fisarmonica
suona.
Ascolta Max...
non puoi fingere più
preferisco camminare.
Tu hai a cuore una canzone Max
è vero.
Io ho soltanto...
una vecchia canzone
nel cuore... Max.

Il tempo del muschio nei boschi (Quando vi penso).

Lontano…
Più lontano
degl’occhi di mio padre,
fiumi grandi,
sponde perse alla vista
e noi tra i tanti
che spingiamo
tronchi alla corrente
mattino e sera.
Il freddo punge.
Ghiaccio e neve nell'aria.
 
Lontano.
Molto più dietro
di questo mio vetro
ricordo
il tempo del muschio dei boschi.
Non rammento le voci,
ma pioveva e rullava
e rombavano nel cielo
leggeri tuoni distanti.
 
Occhi bassi
a guardare i pesci
passare sotto noi.
Piste distratte
tratti lunghi e ritorni
e spinger di tronchi.
Un senso inquieto
di provvisoria vita
e poi
il pericolo...
Cammino insolito
non scelto
ma obbligato.
 
Scantinati.
Fango e acqua
vecchi e stanchi
fredde capanne
giacigli scaldati
e tronchi tagliati.
Querce umane
animali da bosco
scopritori di terre lontane.
Srotoliamo sfortune trovate
...giammai cercate.
 
E’ così che ricordo
e vorrei non pensarci.
Vado avanti.
Tagliare e tagliare,
rumori della mente
vi sento
qui
intorno a me
seduto anch’io
 
...tra voi.
 

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