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blog di Franca Figliolini

Il rischio dell'accidia

correrò di nuovo il rischio dell'accidia
in questo giorno di grigio che offende gli occhi
e di rumori attutiti e astratti
 
 
come si attarda l'attesa sul mio corpo
si annida nel vizio capitale
peccato senza remissione
 
 
m'impantano nella palude Stigia
con un semplice socchiudersi degli occhi
e il franare delle mani in grembo
 
 
e non fosse che non credo a niente
dovrei davvero temerle
le trombe del giudizio
 
 
lo squillo stentoreo che interrompa
 
                                       [il silenzio
 
 
 

Poeti - 1

1.
 
                                                      [Pessoa]
 
Poesie come fiumi di lava incandescente, 
magma nero e lapilli lucenti,
che tutto ricopre ed avvolge con lentezza ed inesorabilmente
- si solidifica in una massa che diventa pendio di montagna.
E dentro contiene tutto, tutto sotto specie di vuoto, di assenza,
le cose e le persone che in essa hanno esalato la propria materia,
evaporate al calore assurdo e potente dell’immaginazione
che ogni cosa crea ed ogni cosa distrugge.

La civetta di Atena

 Dove sarà l'ulivo che piantò sulla collina
la Dea dagli occhi scintillanti?
Dove l'argento delle sue foglie e il nero del tronco
                                                      [contorto?
 
Vorrei nascondermi lì,
ché il sole mi ferisce gli occhi
: io sono fatta per vedere nella notte più fonda,
per discernere e capire.
 
Non lo trovo più
e non trovo più lei, la vergine Dea della saggezza,
Atena che nacque armata
dalla testa spaccata del padre Zeus,
Atena che mi portava sulla sua spalla
e mi proteggeva al riparo dell'Egida.
 
Ero con lei quando mutò Aracne in un ragno
e la Gorgone in pietrificante mostro.
Dalla sua spalla sentii il duetto con il sagace Odisseo,
menzogna contro menzogna,
fino al disvelamento.
 
Ero con lei sempre, sempre.
Ma dov'è ora la mente divina,
la sua capacità di analisi e di pensiero?
Quale mostro l'ha sopraffatta e costretta all'oblio?
 
Lei non c'è più
ed io vago sola nella notte buia
con gli occhi spalancati che s'arrossano
e canto il mio canto
che un tempo portava saggezza
ma ora
è solo presagio di morte.
 
 

Terra nera fertilissima

Io non ho patria ma ho radici
- larghe e profonde -
 
Traggono linfa
dalle strade della mia città
lungo le linee delle generazioni
dai volti e dagli sguardi di chi amo
 
dalla millenaria esperienza del dolore
- terra nera fertilissima -
 
 

La logica stringente dei nodi

 
eppure il silenzio della notte
non m'ha insegnato
a distinguere tra ombra e ombra
a discernere
nel baluginante lucore dei lampioni
cosa sia me e cosa altro da me
 
vedo intravedo pretendo di capire
ma solo quando l'alba m'accarezza
con le sue dita di rosa
ritrovo gli oggetti e il soggetto
:
io
 
trama e ordito si ricompongono
in un tessuto di Arras
- con la logica stringente dei nodi
  

Il dolore non è un bravo maestro

Il dolore non è un bravo maestro
questo sì l'ho imparato
 
dagli sguardi chiusi le labbra tirate
i solchi profondi sui volti
 
la mimica austera del silenzio
che inibisce l'ampiezza del gesto
 
E adesso m'aspetta la notte
il buio dietro gli occhi serrati
 
 
 

La bianca città

 gonfia di silenzio galleggio in superficie
cedendo - ah sì cedendo
al fascino ingannevole dell'allitterazione
....

Afrodite (o della passione)

Basta la bellezza, mia amata Afrodite,
per suscitare il desiderio che da te si muove
e emana e ci cattura, dei e mortali tutti?
 
Nulla dicono gli aedi del tuo sguardo
o delle tue movenze,
come se tu fossi una statua
- quale Galatea di cui Pigmalione si innamora.
 
Eppure io, l'umano Anchise,
questo amai:
le tue lunghe ciglia sugli occhi bruni,
ardenti di passione,
e come il braccio si piegava a coprire il seno,
la fossetta che nasceva sulle tue ginocchia
quando ti sedevi ai miei piedi
e la morbida piega dei fianchi
sotto le mie mani frementi.
 
E il tuo camminare regale e fiera,
come il primo giorno che uscisti dalle acque
e le Ore ti vestirono e adornarono di monili
per presentarti agli dei.
 
Tuo sposo fu il tristo Efesto
e amante Ares il crudele
ma tradisti entrambi, come hai tradito me.
 
Perché tu, Afrodite pandemia, ami la passione,
l'intrecciarsi dei corpi nell'amplesso,
lo spalancarsi del corpo,
lo spasmo profondo dell'orgasmo.
 
Ed ami il possesso,
il saperci tuoi,
avvinti dal desiderio che ci schianta e ci crea.
 
Ah, tu, anima crudele e sorda,
che mi amasti solo perché Zeus volle che così fosse
e dopo l'amplesso mi lasciasti qui,
sul monte Ida
tra le mie pecore bianche e belanti,
solo,
condannato ad una vita di rimpianto.
 
Dove sei, volto amato, amato corpo,
dove?
Che m'importa della gloria della mia stirpe
se non posso piu' affondare il viso nei tuoi capelli di seta,
e giacere con te
nell'oblio dei sensi?
 
Lasciatemi piangere la mia sorte!
Ché io conobbi il Lete dei tuoi baci
e non c'è niente, più niente
che mi dia requie.

Ustione

                                                   (dedicata)

Io quantistico

Lei, l'invito - nietzschiano o pindarico che fosse - a diventare ciò che si è non riusciva quasi a capirlo. C'era quel "ciò" che la lasciava perplessa. Come se si fosse un'unica cosa, una struttura coerente e coesa, una pietra dura.
Lei si sentiva piuttosto una particella delocalizzata, che di quando in quando un qualche strumento di misura costringeva in un nuovo stato, con le note conseguenze paradossali che ne derivano.
Avveniva poi in genere che lo stato in cui, per così dire, precipitava, fosse quello che più si confaceva al casuale osservatore - ansia di compiacere, direbbe semplicisticamente chi non fosse avvezzo alle teorie quantistiche.
Comunque, uscendo dalla metafora, che si sa, non regge mai ad essere tirata troppo, questo era quello che sentiva accaderle: di precipitare, a seconda dell'interlocutore, in un possibile sé, una possibile rappresentazione di se stessa, qualunque cosa si intenda con questa locuzione. Tutte ugualmente vere, s'intende, tutte autentiche, ma diverse e persino contraddittorie fra loro.
E di questa sua pluralità, di questo far dipendere la sua rappresentazione dall'altro, lei era, ma sì, diciamolo pure, orgogliosa.
 
 

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