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blog di ileana

Ringrazio la sorte

Non fingo. Lo vedi?
Non piango.

Sorrido persino
guardandoti ora
coperto di terra

e nel fango hai vissuto
bevendolo tutto

succhiando la vita

la mia.

Ti hanno trovato disteso
morto d'infarto
io di fianco svenuta
gonfia di lividi
per le solite botte.

Le braccia allungate
e tese le mani, sembrava
m'han detto
cercassi il mio viso.

Chi sa
se per stringermi il collo
o chieder perdono

Oramai non m'importa
il tuo tempo è scaduto.

Sorrido ai cipressi
calpestando per l'ultima volta
le foglie sul viale

e ringrazio la sorte.

come quando il mare cura

credo sia un privilegio
o una sorta di felicità
come quando il mare cura
poter dire eccomi, io ci sono
senza ipotizzare neppure l’idea
del suono rabbioso, tormentato
che fa l’onda mentre percuote
nell’intimo paure e delusioni
diventate roccia

tovaglia a fiori

parrebbe naturale
di questi tempi oscuri
il bianco e il nero
o il grigio metallo
di un imminente cielo
ed esser dunque cupi
comunque amareggiati
per tanti volti vuoti
di fantasmi senza veli
corpo e faccia
umiliati e vinti
ma si sa
è meglio l’illusione
di colori coi sorrisi
riflessi da uno schermo
che riempiono cervello
e piatto vuoto
sulla tovaglia a fiori

Ho talloni rosa e dita consumate sulle punte

Ho sempre avuto cura
dei miei piedi, fin da piccola,
quando, nudi e doloranti
li piantavo la sera nella terra
come fossero radici

ago e filo

nella mia casa
ago e filo
sempre pronti
 
pantaloni da accorciare
da rammendare
 
ma io no, io
 
ci lascio i buchi
li tengo lunghi
 
anche se è inverno
e fuori piove
 
tra aria, polvere

dove ho conosciuto gli indiani?

Quando ero piccola
abitavo in una città piccola
e il mio papà lavorava
in una miniera grande

la mia famiglia
era una famiglia povera
e nella mia casa piccola
non c'erano libri né giornali

la televisione e il cinema
erano per noi un lusso
i vicini erano lontani

io giocavo sempre
in un prato grande
con un mio amico piccolo
con arco e freccia
di un ombrello vecchio.

ma adesso che sono grande
mi chiedo: dove ho conosciuto
gli indiani?

come quando il grano

Se fossi capace
d’asciugare le parole
come il focolare fa
con la fronte stanca
il sole il vento col bucato
poserei muta e cieca
le dita su questi tasti
tesa nell’ascolto
del fruscio di spighe
quando il grano
si fa onda

per un tozzo di fango

non c’è più terra fratello
sulla quale procedere guardingo
fianco a fianco
spalla contro spalla
che protegge dal nemico

Elisa

con la mela in tasca
rosicchiando l’avvenire
per merenda
sugli scalini di casa
sedeva sempre Elisa
nei fragili pomeriggi
del dopo scuola
con mano d’ala sfogliava pagine
come fossero piume e con l’altra
pesante come macigno
teneva a freno il vento
 
* a mia figlia

C'è una casa e un bambino che guarda

C’è chi guarda lontano
un tramonto di cera
che poi piano ­scolora

stringe pugni di nuvole
che si disfano in ­pioggia
dimenticando chi era

E chi va verso il mare ­
con in testa un cappello
ed in mano il cuore ferito ­

sferza lampi
al cielo distratto
trapassando le nubi ­
e la luna

C’è una donna che aspetta
affacciata al ­balcone
un marito, un fidanzato
od un figlio distante
e ­perdona

Ed un’altra, l’ho vista
lo giuro, neanch’io ci ­credevo
sollevare più in alto del velo
lo sguardo ­

camminare fiera sui sassi
sopra l'orlo di un fiume
e ­raggiungere il mare

Ma c’è sempre una casa
una piazza, ­un cortile, una palla
un bambino che gioca
ed uno, lontano ­

che solo, lo guarda

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