Il canto di Andromaca - Piero Marengo | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il canto di Andromaca - Piero Marengo

Scrosci e applausi che s’avvampavano come un astro che esplode nell’universo.

Il palcoscenico si stava animando al suon della mia musica, il mio piano materializzava onde sonore che in volute rapidissime verso l’alto in picchiata investivano gli astanti, mentre la cantante aveva lanciato i suoi virtuosismi da delicatamente far vibrare il cristallo dei bicchieri colmi di Ferrari.

In quell’istante nulla più aveva più ragione di esistere se non raggiungere con il mio pensiero il segreto della sua composizione.

Volutamente avevo lasciato quel frammento alla conclusione di tutta l’opera, volutamente dico nonostante il blocco che ebbi durante un periodo triste della mia vita.
Non contemplo nulla se non quelle immagini di alcuni anni addietro, quando seduto davanti al mio piano, disposto nel patio all’aperto fra il fragore della bassa marea e i versi dei gabbiani che rincorrevano i pescherecci in transito.
Fogli di carta straccia che svolazzavano in aria nervosamente, le mie mani battevano pesantemente sui tasti senza che frasi musicali di senso compiuto riuscissero a macchiare seppur con geroglifici strambi, le righe dei pentagrammi.
Come Puccini con la Turandot, prima che il Nessun dorma entrasse nell’anima.
Un do 5 e ci metto anche la diminuita eccedente, un la minore e ci aggiungo anche la sesta e i primi due gradi li abbiamo compiuti. Adesso il quarto, un fa minore settimo...
"Gran Dio. Che faccio jazz, adesso?" - mi rimbrottava adesso.
Ripresi i primi due gradi, e rimasi con la pressione delle dieci dita, pigio il pedale del sustain e chiusi gli occhi per sentirne l’effetto prolungato. Quel suono che tendeva allo smorzamento ma che rimaneva ancora in onda: lasciai il pedale, ancora il capo levato verso l’alto, il cielo sempre più azzurro che si fondeva con la musica mentre io faticavo ad essere partecipe di quel prodigio.
Fu un attimo: non ebbi requie per i successivi dieci minuti. Le mie mani percuotevano le corde, sembrava che il piano provasse un forte tremore a tutto quello che stava per compiersi.
Mi fermai, avevo il il battito accelerato, i capelli in avanti che mi ciondolavano coprendomi la visuale.
"Il finale, il finale..."
Come Puccini ancora. Ma il peggio doveva ancora venire! E il peggio era la lirica, un faro sconosciuto e ignoto, avevo licenziato i librettisti, mi reputavo un poeta anche, ma adesso?

Scioglimi gli ardenti desideri
o alma mia
affinché la lama di Achille trova riposo
fra le profondità del mio amore
che si solleva in una nube di sospiri

Posso ambire alla tua deità
o alma mia
verso emisferi che mi portano a te
seppur lontano
vivimi attraverso il canto mio
di cui musici non potranno descrivere
siffatte note in bellezza e nobiltà.

Mi girai e mi voltai come destatomi da un sogno notturno: da dove proveniva quella voce melodiosa? sembrava dall’alto. No, veniva dal basso, dalla spiaggia, fra la bassa marea che baciava la sabbia dorata, avevo scorto delle orme che avevano misurato in lungo la riva.

Non riuscii a contenere il fuoco che divampava in me: un folle ero, come roso da una febbre improvvisa incominciai a musicare senza un attimo di sosta, con lo sguardo diretto verso la spiaggia, verso la marea, verso la schiuma che accarezzava ogni parola che mi giungeva.

Solo adesso riesco a contemplarne lo splendore, sul palcoscenico, fra migliaia di sguardi concupiscenti, un raggio di sole irradia quella sala da lontana, all’ultimo posto, Andromaca eleva il suo canto d’amore al musico che l’ha sovranamente amata!

Piero Marengo


-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione Paolo Rafficoni
-Racconto di Piero Marengo
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