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Prosa e racconti

Come se in cielo

Non sanno di Barberia e giuggiole, di loti le concomitanze, le notturne fontane
 
di pesci rossi
sanno, di menti rosa, assiepati ascolti
tra la pioggia di sentieri percorsi a piè di gomma,
fluorescenti ascese,
caffè lambiti da sapori nuovi antico, divano cuoio, dopotemporali, quieti
di mura aperte
improvvisamente
 
E sanno di indomani, di cuscini, pergolati ancora, onde, premura 
ulivi radicati a terraletto
 
 
 
 

I misteri di Torino

(Turin Rive Gauche, 19-11-2009)

Sì, ma non si può! Uno fa uno spettacolo in una delle più rinomate café library del centro e nel dopo si rifocilla sfogliandosi una Szimborska, un Lucarelli o un Mac Cormack; e si trova la tipa che gli serve la caipirinha, mora, jeans attillatissimi e risparmiosissimo corpetto nero allacciato a fatica stile café chantant, pelle abbronzata cioccolato, fianchi adipeggiandi il giusto e in ampia mostra per produrre un sufficiente ondeggiare tremolante arabo alle notti d’oriente, che si balla una techno batucada ancheggiando come un’ossessa tra una pausa e l’altra della produzione del cocktail. Che il Picaro non sa come trattenere la bava che gli scende copiosamente, e la sua collega di palcoscenico, venuta da Milano, che gli dice: “Cavolo, ma Torino è veramente una città raffinata, piena di insospettate offerte e attrazioni”. (Sti cazzi! Per forza! Adesso il Nostro proporrà una gestione beni culturali d’avanguardia alla Biblioteca Nazionale Universitaria. Prestazioni lap dance nell’attesa, al banco consultazioni e prestiti). Ma sì, è chiaro, bisogna ampliare e articolare l’offerta culturale e turistica con appropriate strategie di merchandising e intrattenimento. Proporre un gemellaggio Las Vegas - Torino? Ramblas – Murazzi? Montparnasse – San Salvario? Comunque è una grande vittoria vedere i pellegrinaggi milanesi sotto la Mole, i giapponesi che si fanno le foto davanti alle vetrine di Benetton e Armani in Via Roma, il giornalista di Glasgow che ti decanta Vallette e Falchera come aree di potente materia di ispirazione thriller hard boiled. Eugene Sue sconvolse il suo secolo coi “Misteri di Parigi”. Il David Martin de “L’ombra dell’angelo” di Zafon scrive i grandguignoleschi “Misteri di Barcellona”. Venusia, Sasha e Ramona, le tre stangone trans operanti sul corso vicino casa, saranno i ghost writer ufficiali del Nostro nella stesura de “I misteri di Torino”.

La presenza

 
 
     Soltanto una volta ho abitato una casa senza cortile né giardino. Stranamente, non aveva nemmeno balconi. In tutta la palazzina ce n’era uno soltanto, in fondo al corridoio condominiale, che dava su di uno spiazzo sterrato frequentato solo da qualche gatto.
Su quel balcone ci andavo ogni pomeriggio, prima o dopo aver fatto i compiti. Vi portavo i miei giocattoli e il panorama lo ricostruivo da qualche fumetto.
Ricordo una casa, sulla destra, con un balconcino di colonnine bianche. A cinquanta metri o poco più. Vi giocava una bambina con i capelli chiari e le maniche a sbuffo.
   
    Eravamo noi due soltanto. E i gatti.
 
    Troppo lontani per parlarci e troppo timidi per farci dei segni, stavamo ognuno sul proprio balcone a spartirci quell’angolo abbandonato. Ogni tanto ci guardavamo. Più che altro, ci assicuravamo che l’altro ci fosse. 
  
   Trascorremmo ore, settimane, stagioni fidando una nell’altra presenza rassicurante e fedele. Ogni tanto quell’occhiata a tastare la tenuta dell’esile filo teso fra i due balconi. O forse durò soltanto pochi giorni? Il tempo non si ferma nemmeno nella memoria.
 
   Quando uno dei due se ne andava, poco dopo se ne andava anche l’altro, come se si fosse sganciato il filo sospeso sullo squallore che saliva da quello spiazzo deserto, imprigionato nei movimenti pigri dei suoi gatti.
                                                                                                                                                          
       A volte, il tramonto ci faceva visita, arrossandoci. Allora restavamo a guardarci con la stupita insistenza della nostra età assetata, curiosa e paga di quelle smodate semplicità.
 
     Non la incontrai mai, se non di sfuggita, seppure qualche tentativo lo feci. Da fonti incerte seppi solo il suo probabile nome: Iolanda.
Intanto, ho scordato nomi ripetuti mille volte. Ho dimenticato amori che avrei giurato eterni, ma qualche volta, ancora, penso a quella bambina.
L’unico vincolo che mi riuscì perfetto.        
 
 
 
 

"Ma smettila..."

Scrivo da circa due anni su un sito. Ma mi nascondo.
Scrivo nascondendomi perché mi piace espormi.
Mi piace espormi, ma non posso celarmi.

A 36 anni mi sono resa conto di essere stanca degli uomini. Avere una forte componente snob nel mio sangue non mi aiuta, me ne rendo conto, ma mi rendo anche conto che per il mio “essere”, i maschi sono troppo maschi, troppi peli, odore forte con forti richiami preistorico-animalesco di ere passate, ormai troppo passate.

I maschi infine hanno anche pochi argomenti, quasi sempre, specialmente con una che odia fortemente il calcio.
A 36 anni sono certa che non c’e’ spazio per uomini nel mio mondo. E le donne non mi hanno mai interessato; troppo donne e troppo piene di se perché consapevoli della manifesta inferiorità del genere maschile. Non si sposano con i miei gusti. A 36 anni ho capito che mi basto da me, mi autoalimento, mi eccito e mi soddisfo mi placo e mi sorrido allo specchio…

Roma Capitale

 «Che famo? Nd'annamo?»
«E che ne so io? Stamo qua, 'ndo' dovemo d'annà? Nun ce sta gnente qua 'ntorno. Hanno chiuso puro er baretto. Dice che ce stava 'na bisca. 'na bisca, tzeh... magara! Ar massimo se giocava a zecchinetta...»
«Va beh, stamo qua allora. Ma che famo?»
«Aho, a neno? Ma che voi da me? E che te lo devo da di' io che devi da fa'?»
Se ne vanno camminando in silenzio per lo stradone vuoto. Pochi alberi striminziti nell'aiuola spartitraffico centrale; l'erba giallastra fiorisce in cartacce, cicche di sigarette, siringhe conficcate nella terra. Niente panchine: le hanno distrutte qualche mese fa e coi pezzi di legno hanno acceso falò per scaldarsi. Non che facesse freddo: pensavano fosse bella l'idea del fuoco. Col bel risultato che adesso non sanno nemmeno dove sedersi. Per ora nessuno ha pensato di sostituirle. D'altronde a che pro? Le avrebbero distrutte di nuovo dopo pochi giorni.
«Aho, ce la sai 'na cosa? Mario me manca propo...»
«E daje, mo' ricominci? M'hai stracciato i cojoni co' 'sta storia. Ho capito che te manca. Ma mo' so' tre mesi che nun ce sta più e tu tutte le sante vorte che se vedemo me devi da di' che te manca...»

Insegnami a volare

Un uccellino in un parco si posò sulla mia mano e tremante mi dise:
"Volo sempre perchè forse non so amare e non so se voglio essere amato ma quando viene sera sono stanco e bagnato, solo ed affamato, mi manca un nido dove scaldarmi, fammi riposare un poco... ma non troppo! La mia natura è volare."
Ho aperto le porte di casa mia e tuttavia anche se parte ritorna, nemmeno io ho saputo amare ma voglio imparare, ti vorrei come maestro... insegnami a volare, facciamo un sodalizio, ripartiamo dall'inizio, non diamo un nome alle cose, ci sono spine e ci sono rose, chiudiamo gli occhi e respiriamone il profumo perchè credo... come te e come me... nessuno.

Pensando

                                             Pensando al mio paese natale
                                                                                dieci anni dopo
 
 
   Io ero qui, quando questa terra era ostile e regalava solo poesia.
   Troppo poco per vivere e troppo per la pace. Ora tutto è in fermento, tutto in costruzione. I volti noti non ci sono più o ne vedi pochi.
   Gli altri, i nuovi arrivati, sono tanti e li vedi padroni dei tuoi sogni defraudati a te dalla vita che lenta, inesorabile, ti fa guardare avanti ma non ti permette di dimenticare.
 
   Io amavo il mare, il suo fragore lontano nelle giornate di burrasca.
   Alla sera uscivo sull’uscio di casa e nel buio della notte mi lesciavo rapire da quel rumoreggiare affascinante che proveniva da quella massa d’acqua in movimento.
   L’Adriatico doveva agitarsi moltissimo se io a tre chilometri di distanza ne percepivo un suono cosi distinto.
   In quelle notti, il cielo non era limpido e il mare si sostituiva alle stelle per regalarmi sensazioni stupende.
   La battaglia della vita ora, è come quel mare in burrasca.
   Qui il mare è lontano, il suo rumore non giunge fino al mio udito. Io in quella casa in mezzo agli ulivi, non ci tornerò più: è stata soffocata dalle nuove costruzioni.
   Era una casa dove si era sempre in attesa di qualcuno che doveva arrivare.
   Prima mia nonna che aspettava suo figlio, poi mia madre che aspettava noi. In questo aspettare c’era tutta la speranza e il desiderio del ritrovarsi che aiutava a vivere.
 
   Spesso mi sono sentita come una emigrata in patria.
   Si è sempre emigranti quando si va via (giovanissimi) da dove abbiamo imparato a conoscere al mattino, da quale parte sorge il sole e alla sera dove tramonta.
   Si diventa senza più riferimenti.
   Lontano da quei luoghi, non ho più saputo discernere dov’era l’alba e il tramonto in mezzo ai palazzi e al cemento.
 
                                                      Maria Mastrocola Dulbecco                         
                                                                                                                              1964
 

Sincronicità (a quattro mani con Max Pagani)

 Lei spostò il bicchiere sul tavolo per nessuna ragione apparente e immediatamente, come in un flash, fu colpita dalla consapevolezza che un altro, in qualche luogo, stava facendo esattamente lo stesso gesto, anche lui per nessun motivo.
Le succedeva di frequente, da qualche tempo a questa parte: immaginare, no, immaginare non è la parola giusta, sentire, ecco si', sentire che ci fosse un altro essere in sincronia con lei, in qualche angolo del mondo. Una persona che, in un dato momento - casuale ma, assolutamente predestinato, come avrebbe detto Robert Scheckley - compiva le sue stesse azioni, si poneva le sue stesse domande, dava le sue stesse risposte.
No, no, non stiamo parlando di cose come l’altra metà della mela: era qualcosa di diverso. Era più che sintonia, era sincronicità: contemporaneo fibrillare di sinapsi, come si dice accada ai gemelli.
Ecco, si. Quella era la parola giusta: un gemello. Da qualche parte nel mondo c’era un suo gemello, lo sapeva. Lo sapeva. Ma, data questa consapevolezza, sorgevano due questioni.
La prima era: doveva cercarlo? Ovvero, sulla base di questa consapevolezza non suffragata da prove concrete, doveva imbarcarsi nell’impresa di frugare il mondo per trovare il gemello, col rischio di non trovarlo, o di fermarsi a surrogati che l’avrebbero inevitabilmente delusa?
La seconda era: come, come cercarlo? Tra i venti miliardi di individui che oggi, nel 2136, affollano il mondo, come diavolo trovare il suo unico gemello? Non era una che si imbarcasse in un’impresa per perdere. A lei piaceva vincere. Ed anche al suo gemello....

Insettivamente

Su una corolla di fior di tarassaco (piscialletto).
- zzzzzztttrrzzzzst...., ciao, come stai?
-sszzztttzzzsssttttssss..., ciao...bhe! avresti potuto poggiarti su quella corolla lì accanto. Si sta stretti, comunque bene, diciamo, anche se...
- dai! non lagnarti. La primavera anche in ritardo è arrivata e credevo andasse peggio. Ho visitato migliaia di fiori, belli maturi, il nettare ha uno strano gusto ma è abbondante. A sera ho la tosse, per il resto, va bene.
- hai la tosse, eh? è quella roba che c'è nei fiori, quella polverina che è sempre nell'aria. Mi hanno detto che la producono i mostri invasori, quelli che ammucchiano pietre e altro, per abitarci, viverci insomma e vanno in giro con aggeggi puzzolenti.
- già! mi è arrivata una comunicazione pollinare dalla campagna, mi dicono che là spargono delle sostanze chimiche che sterilizzano i terreni delle colture agrarie in modo che noi "selvaggi" non si possa nascere e crescere. Che mondo...
- quando avranno ricoperto tutta la terra di quelle trappole che chiudono perfino all'aria, perché quella che respirano se la fanno artificiale, come vivranno qui? se ne andranno, come sono arrivati? ...speriamo presto. Il nostro polline è intriso in questa terra, risorgeremo, poi...ce la riprenderemo.
- zzzzztttrrrzzzssstttt...Adesso vado, ho tanto lavoro da fare, la mia quota di nettare è ancora scarsa e il giro sempre più lungo. Buona giornata, compare.
- sssszzztttrrrssssttt..., ciao, io resto, non ho più forza di andare, mi spiace... Tus tus tus...
che bello questo sole...l'ultimo...e...
Tuff
- ...almeno...qui tra l'erba, sulla terra.
 

Fiori di loto, acqua e sale

Stamattina ho raccolto stupendi fiori di loto migranti sulla laguna. Non ci credete? Fate bene, non è vero. Oggi le sue acque indifferenti mi propinano solo alghe putrescenti. In queste acque mi specchio e l’immagine che mi torna, seppure spezzettata dai riflessi, mi parla di nuove storie, di nuova vita. Ho lavato in laguna le mie ferite e l’acqua salata le ha cicatrizzate definitivamente. Ora il sole provvederà ad asciugarle, le ho stese accanto alla mia anima, appese ad un filo che unisce il mio cuore a queste parole. Così, mentre mi perdo con passo più leggero tra calli e ponti, respiro a pieni polmoni la magia di quest’isola che non c’è e, come un Peter Pan un po’ acciaccato, attendo l’arrivo di Campanellino discutendo coi gabbiani del più e del meno. Anche per oggi la mia cura a base di fiori di loto, acqua e sale, produrrà i suoi effetti benefici, devo solo stare attento a non esagerare con le dosi, i fiori stanno finendo…

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